Programma dal 7 al 15 settembre 2024

Letture: Isaia 35,4-7a / Salmo 145 / Giacomo 2,1-5

Loda il Signore, anima mia.

Dal Vangelo secondo Marco (7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 07 18.30 + Adolfo, Adriana e cg. Marangoni
Domenica 08 10.30 + padre Antonio Costa

+ cg. Ferro Almerigo e Costantin Rina

Lunedì 09
Martedì 10 8.00 + Anselmo e Lea
Mercoledì 11
Giovedì 12
Venerdì 13 8.00 + Cervellera Alessandra e Geminiani Desolina
Sabato 14 18.30 Vivi e defunti fam. Dovadola e Ruffini e secondo le intenzioni di Maria Teresa

+ Forni Vilma e Semeraro Giacomo

Domenica 15 10.30 + Martini Giovanni

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 08

XXIII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

Ore 10,00 (città) : Corteo storico con benedizione del Palio sul sagrato della chiesa.

Ore 10.30 (S. Paolo) : S. Messa.

Ore 12.30 (oratorio) : Pranzo dell’ospitalità.

Ore 18.00(oratorio) : 48° Palio del timone

Lunedì 09 Ore 19.00 (oratorio) : “Cibi dal mondo” A tavola con le diversità culturali presenti sul territorio.

Ore 21.00 (oratorio) : “Arte migrante Imola”

Venerdì 13 Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario

Ore 21.00 (oratorio) : Musica live con alcune “band”

Sabato 14

Esaltazione della Santa Croce

S. Messa prefestiva ad orario

Ore 21.00 (oratorio) : Serata in ricordo di don Orfeo Giacomellii

Domenica 15

XXIV del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 (oratorio) e 18.30 (S. Paolo)

Ore 10.30 (oratorio) : S. Messa nel campo dell’oratorio

Ore 20.30 (oratorio) : Giochi senza quartiere

La festa della Ripresa (ovvero un invito alla partecipazione)

Sabato 7 settembre alle ore 18.00 inizia la “Festa della Ripresa”

Tutti gli appuntamenti della festa sono riportati nel volantino a parte.

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Lc 6,6-11 Lc 6,12-19 Lc 6,20-26 Lc 6,27-38 Lc 6,39-42 Gv 3,13-17

Vivere il mistero – Durante i riti esplicativi del sacramento del battesimo, il celebrante, toccando bocca e orecchi del battezzato, compie il rito dell’«effathà» (= apriti). La liturgia ha preso questa parola dall’episodio della guarigione del sordomuto, narrata nel Vangelo odierno: Mc 7,31-37. Otto secoli prima di Gesù, Isaia aveva profetizzato alcuni «segni» della presenza di Dio in mezzo al suo popolo (prima lettura, Is 35,4-7a). Tra questi avvenimenti di salvezza o «segni», Isaia elenca il recupero della vista per i ciechi, dell’udito per i sordi, della deambulazione per gli zoppi e della parola per i muti. La guarigione del sordomuto non è dunque un avveni mento miracoloso-terapeutico soltanto. Prima di tutto è l’adempimento di una profezia e questo dato ha un’importanza molto grande nella fede biblica perché il Deutero-Isaia aveva dimostrato l’esistenza di un solo Dio, Yhwh, proprio attraverso questo argomento: nessuna divinità pagana profetizza e ciò che è profetizzato avviene (cf. Is 44,6-7). Ln secondo luogo, il miracolo è segno della messianicità di Gesù. In Lui convergono le profezie. Gesù è un discendente di Davide, compie i miracoli, morirà in croce per il perdono dei peccati degli uomini. Risorgerà. Ciò che Gesù, compie, dunque, è un gesto che rivela sé stesso dove egli manifesta la propria identità messianica. Il miracolo, poi, rivela in terzo luogo la capacità di Gesù di dare la salvezza all’uomo, restituendo la persona al suo stadio originale. Infine, il miracolo di Gesù svela la presenza di Dio nella storia e la sua volontà di guidare la storia secondo il suo volere, pur nel rispetto della Libertà umana. Il ciclo letterario di Mc 6,30-8,26 è una lunga preparazione, attraverso la narrazione di miracoli e di discussioni, alla grande e centrale confessione messianica di Pietro in Mc 8,27-30 (Mc 8,27-35 è il Vangelo di domenica prossima). Il Lezionario, invece, ha scelto Mc 7,31-37 come unico testo preparatorio alla confessione apostolica. Mc 7,31-37 è un testo più antico dello stesso Vangelo di Marco. Ha origini palestinesi (vedi l’espressione aramaica effathà). Poiché viene svelata la parola segreta di guarigione (effathà) significa che il brano è stato tramandato in una comunità greco-cristiana in aperta polemica con la «magia» ellenistica, che custodiva in un segreto assoluto la parola di guarigione. Il viaggio stranissimo di Gesù (Tiro, Sidone, mare di Galilea, Decapoli) potrebbe indicare la sicurezza dell’avvenimento e l’insicurezza del luogo dove è avvenuto. Il verbo «aprirsi» viene adoperato nel Nuovo Testamento nove volte per indicare di norma l’apertura alla conoscenza, attraverso le Scritture, del Gesù Risorto. Il commento, poi, al miracolo è fatto dalle parole presenti nel racconto della creazione: «Ha fatto bene ogni cosa» // «E Dio vide che ciò era buono». Un modo semplice per alludere alla divinità di Gesù. Si tratta di allusioni piuttosto sostanziose a livello teologico. Ciò permette di comprendere il silenzio imposto da Gesù (segreto messianico): capire ciò che Gesù dice e fa, significa capire bene il concetto di «Messia». (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

Le prime e precise indicazioni, per la realizzazione di adeguati spazi al «sacramento della confessione», le troviamo negli scritti di due vescovi diocesani e, grazie alla loro diffusione, entreranno praticamente inalterate nella riforma tridentina. Il vescovo di Verona, mons. Gian Matteo Giberti, fu il primo che nelle Constitutiones, da lui emanate nel 1542 per motivi di ordine pastorale e disciplinare, interviene anche a dare indicazioni puntuali sul luogo della celebrazione del sacramento. A questo proposito scrive: «Per evitare gli scandali, che a volte possono accadere nel ministero delle confessioni, stabiliamo che esse, specialmente quelle delle donne, d’ora innanzi si facciano sempre in un luogo “aperto et evidenti“, così che ugualmente si possa vedere il confessore e le penitenti. Inoltre stabiliamo e comandiamo che fra il sacerdote e la penitente vi sia “tabula una cum fenestella, supra quam sit una grata seu lamina perforata”. Questa tavola la denominiamo “confessionale” e in tutte le chiese comandiamo siano eretti i così detti confessionali”. Successivamente fu san Carlo Borromeo, cardinale di Milano, nelle sue lnstructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (1577), a definire nei minimi particolari i confessionali e a prescriverli per tutte le chiese della sua estesa diocesi. Al capitolo XXIII del Libro I tratta, offrendo dimensioni e dettagli precisi per la sua esecuzione e sistemazione in chiesa, quello che pure lui chiama ufficialmente: «confessionale». Innanzitutto, prescrive il Borromeo, deve essere tutto di legno, preferibilmente di noce, e diviso verticalmente in modo da creare due vani, uno per il sacerdote e uno per il penitente. Il sedile del sacerdote sarà chiuso sui lati, dietro e sopra con assi dell’altezza di una persona, mentre la parte anteriore dovrà rimanere sempre aperta e visibile, con la possibilità però di chiuderlo a chiave con una porta a graticcio o un cancello di legno perché non venga usato da laici o da vagabondi per sedere o dormire. La parete laterale che divide il sacerdote dal fedele dev’essere munita di una finestrella, che verso il confessore avrà una tendina e verso il penitente una lamina di ferro completamente forata, con buchi della grandezza di un «cece». Nel vano del penitente sarà aggiunto un predellino come inginocchiatoio e una tavoletta su cui poggiare le mani giunte. Al di sopra della finestrella sia collocata un’immagine di carta del crocifisso, piamente eseguita. L’altra parete, invece, deve essere totalmente chiusa. A questa struttura sarà lecito apporre qualche decorazione, come cornici lavorate, nella parte anteriore o qualche altro tipo di ornamento decoroso. In tutte le parrocchie, e pure nelle chiese più piccole non parrocchiali, devono esserci almeno due confessionali, per tenere distinti gli uomini dalle donne. La collocazione dei confessionali, normalmente, sarà lungo le pareti della navata, ma sempre al di fuori del perimetro dell’altare maggiore, e in numero sufficiente a seconda della grandezza delle chiese e il numero dei fedeli. È consentito pure, per esigenze di spazio, collocarli in altri luoghi della chiesa, come in alcune cappelle di ampie dimensioni. Infine vanno sempre posizionati in modo che la finestrella dev’essere dalla parte della porta d’ingresso, cosicché il penitente si trovi rivolto verso l’altare maggiore e il sacerdote verso la parte inferiore della chiesa. [10 continua]

Programma dal 31 agosto al 8 settembre 2024

Letture: Deuteronomio 4,1-2.6-8 / Salmo 14 / Giacomo 1,17-18.21b-22.27

Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.

Dal Vangelo secondo Marco (7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 31 18.30 + Antonio e Giovanna
Domenica 01 10.30 + Aldo Stanghellini e Dosi Luisa
Lunedì 02
Martedì 03
Mercoledì 04
Giovedì 05 18.30 + Luigi Rizzi (detto Carlo)
Venerdì 06
Sabato 07 18.30 + Lea e Anselmo

+ Adolfo, Adriana e cg. Marangoni

Domenica 08 10.30 + padre Antonio Costa

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Settembre 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 01

XXII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Venerdì 06 Primo venerdì del mese – Comunione agli impediti

Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario

Sabato 07 Primo sabato del mese

Ore 7.30 (S. Paolo) : Partenza in processione verso il Santuario della B.V. della Consolazione recitando il S. Rosario.

Ore 8.00 (Santuario) : Celebrazione della S. Messa

Inizia la Festa della Ripresa

Ore 18.00(oratorio) : Din Don Bimbo d’Oro

Ore 21.00 (oratorio) : Din Don Dero d’Oro

Domenica 08

XXIII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 (oratorio) e 18.30 (S. Paolo)

Ore 10.00 (città) : Corteo storico

Ore 10.30 (oratorio) : S. Messa nel campo dell’oratorio

Ore 12.30 (oratorio) : Pranzo dell’ospitalità

Ore 18.00(oratorio) : 48° Palio del timone

La festa della Ripresa (ovvero un invito alla partecipazione)

Sabato 7 settembre alle ore 18.00 inizia la “Festa della Ripresa”

Tutti gli appuntamenti della festa sono riportati nel volantino a parte.

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Lc 4,16-30 Lc 4,31-37 Lc 4,38-44 Lc 5,.1-11 Lc 5,33-39 Lc 6,1-5

Vivere il mistero – Nel libro del Deuteronomio Dio aveva detto: «Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo». Queste sono le parole che risuonano forti e chiare nella prima lettura (Dt 4,1-2.6-8). Tutto ciò che è tradizione degli uomini non può andare contro questo principio: la Parola di Dio può essere interpretata, ma non sostituita. Le scuote rabbiniche si erano impegnate a stendere dei precetti concreti per aiutare l’osservanza della Parola. Con il passare del tempo i precetti hanno sostituito la Parola. Gesù, perciò, trova un popolo di Dio più attento ai precetti umani, che non alla Parola di Dio. Sappiamo che l’obbedienza alla Parola è l’atto di culto più gradito a Dio. Così insegnava 5amuele (cf.1 Sam 22,15: «Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è meglio del grasso degli arieti»; così aveva insegnato Geremia: «Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo». La disobbedienza alla Parola di Dio, anche se si ammanta di giustificazioni, non è mai operatrice di bene. La Parola purifica il cuore dell’uomo: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato». Diversamente, il cuore dell’uomo è capace delle peggiori scelleratezze «Colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori». Vedendo una citazione come quella del vangelo di questa domenica, si capisce che la liturgia ha voluto di proposito una pericope eclogadica (= scelta). Ciò ha comportato la cancellazione di tre elementi: l’esempio del Korbàn (Mc 7,9-13), la prima parte dell’istruzione privata di Gesù ai discepoli (Mc7,17-20) e il versetto Mc7,16 che crea problemi di critica testuale. La liturgia, inoltre, creando l’incipitln quel tempo Gesù…»), attribuisce come predicazione alla folla ciò che invece era un chiarimento ai discepoli (Mc7,21-23). Il testo biblico-liturgico del Vangelo si può suddividere in due momenti. Il primo, Mc 7,1-8, tocca il tema della tradizione degli uomini che trascura il comandamento di Dio. Il secondo momento, Mc 7,14-15.21-23, svolge il tema della contaminazione dell’uomo. Ciò che contamina l’uomo sono i propositi di male che escono dal suo cuore. Quando il cuore dell’uomo è lontano da Dio, produce scelte che non sono secondo Dio. Perché il cuore dell’uomo non sia lontano da Dio è necessario che l’uomo coltivi la virtù dell’autenticità. Tale virtù è possibile solo se l’uomo si lascia permeare dalla Parola: «Coloro che temono il Signore non disobbediscono alle sue parole; e coloro che lo amano seguono le sue vie. Coloro che temono il Signore tengono pronti i loro cuori». (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

Tutto si incentra sulla confessione dei peccati, di tutti i peccati mortali e di quelli veniali, e l’aspetto dominante del sacramento appare quello giuridico: l’assoluzione è come una sentenza emessa da un tribunale. Il Concilio di Trento non farà altro che confermare questa linea pastorale e teologica rafforzandola e inasprendola ulteriormente, insistendo molto sulla funzione del sacerdote medico e giudice e sugli atti del penitente, e raccomandando la cosiddetta confessione «frequente» o di «devozione». Nel Rituale Romanum del l614 troverà posto, al Titolo IV De Sacramento Paenitentiae, solo l’Ordo per l’assoluzione individuale (caput II: Absolutionis forma communis). Il nuovo Rito tridentino porta così a termine un processo di semplificazione rituale e soprattutto introduce la non piccola novità dell’uniformità liturgica della penitenza nella Chiesa latina. La celebrazione è ridotta a un breve saluto iniziale, all’accusa dei peccati, a un interrogatorio più o meno minuzioso del confessore, all’esortazione spirituale o moralistica, all’accettazione della soddisfazione, leggera e ridotta a qualche preghiera da recitarsi appena fuori dal confessionale, e alla formula di assoluzione. Questa è la prassi della penitenza privata che rimarrà inalterata e comune a tutte le tradizioni liturgiche d’Occidente per quasi quattro secoli, e forse oltre, nonostante che il Pontificale tridentino del 1595 ancora conservi, ma senza che sia usato, il rituale per la penitenza pubblica di Guglielmo Durando contenuto nel suo Pontificale redatto tra il 1293 e il 1295. Dalle liturgie penitenziali dei primi secoli, nelle quali il luogo della penitenza pubblica era «dinamico» perché seguiva anche negli spazi dell’aula liturgica un itinerario di conversione-riconciliazione, si era passati a una fase intermedia, quella tariffata, nella quale il posto per la celebrazione rimaneva sempre la chiesa ma senza più l’assemblea liturgica, per giungere a una terza fase della disciplina penitenziale, quella privata, con la possibilità di essere reiterabile e di tipo devozionale, dove il luogo celebrativo diventa «statico», e ben preciso: il confessionale. Senza più un cammino penitenziale e di conversione, personale e comunitario, ci si avvia in questo modo a realizzare micro-architetture, chiuse e separate dall’assemblea, fatte su misura per una liturgia «ridotta al minimo» dove poter «confessare» i propri peccati. Testimonianze già del XIV secolo, come a Pisa, ci fanno conoscere che il sedile mobile per il sacerdote e lo sgabello per il penitente erano stati sostituiti da una struttura semplice ma stabile: si trattava di un seggio, più o meno importante, con un inginocchiatoio fissato su un lato; erano sempre aperti e venivano accostati alle pareti oppure incassati nello spessore del muro delle pareti stesse. [9 continua]

Programma dal 24 agosto al 1 settembre 2024

Letture: Giosué 24,1-2a.15-17.18b / Salmo 33 / Efesini 5,21-32

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.

Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 24 18.30 + Dovadola Monica, Iano, Silverio e Ruffini Armanda

25° di Matrimonio di: Lupo Ubaldo

Di Caterina Maria Grazia

Domenica 25 10.30 + Marconi Ademara e deff. fam. Ghetti e Valenti

+ don Orfeo

Lunedì 26 18.30 + Morini Giada
Martedì 27
Mercoledì 28
Giovedì 29 18.30 + Montesi Natale
Venerdì 30
Sabato 31 18.30 + Antonio
Domenica 01 10.30 + Aldo Stanghellini e Dosi Luisa

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Agosto – Settembre 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 25

XXI del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Giovedì 29

Martirio di

S. Giovanni B.

S. Messa ad orario feriale.
Venerdì 30 Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario
Domenica 01

XXII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

La festa della Ripresa (ovvero un invito alla partecipazione)

Continua la preparazione alla festa :

Giovedì 29 agosto, all’oratorio, a partire dalle ore 20.45 e sabato 31 agosto dalle 8.00 in poi… si continua con la preparazione delle strutture.

Chi può è invitato a dare il proprio contributo.

Sabato 7 settembre alle ore 19 inizia la “Festa della Ripresa”

Tutti gli appuntamenti della festa sono riportati nel volantino a parte.

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Mt 23,13-22 Mt 23,23-26 Mt 23,27-32 Mc 6,.17-29 Mt 25,1-13 Mt 25,14-30

Vivere il mistero – Con questa domenica termina la lettura del capitolo sesto di Giovanni. La riflessione del Maestro ruota attorno a una domanda: «Questo vi scandalizza?». Il discorso sapienziale sul pane di vita poteva anche essere accolto, ma la sensibilità degli Ebrei è rimasta «scioccata» quando Gesù ha affrontato il tema del mangiare la sua carne e bere e il suo sangue. Nella sua predicazione, il Maestro più volte ha proposto degli insegnamenti che hanno lasciato moltissime perplessità. Afferma che la vedova al tempio ha dato un obolo superiore a tutti gli oboli dati dai ricchi: erano solo più o meno 20 centesimi di euro («ln verità io vi dico: questa vedova, cosi povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» (Mc 12,43). Dice con chiarezza che non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo («Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato»: (Mc 2,27). Propone se stesso come modello assoluto per imparare l’umiltà e la mitezza («Imparate da me, che sono mite e umile di cuore»: (Mt 11,29). Propone ancora se stesso come modello del comandamento supremo dell’amore («Come io ho amato voi, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri»: Gv 13,34). Presenta un samaritano come modello di prossimo («Va’ e anche tu fa’ così»: Lc 10,37). Proclama santo un ladro condannato a morte («ln verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»: Lc23,43). Gli esempi si possono moltiplicare, ma il criterio è sempre uno: Gesù ha portato agli uomini la «bella novità» (euanghélion). L’ultima parte della discussione tra Gesù e i Giudei sul pane di vita viene identificata dall’esegesi in Gv 6,59-66 e la confessione di Pietro in Gv 6,67-71. La liturgia ha scelto di proclamare Gv 6,60-69, ponendo in evidenza l’antitesi tra i molti discepoli che non accettavano la parola «dura» di Gesù («Questa parola è dura» è un’espressione unica nella Bibbia) e i Dodici, rappresentati da Pietro, che accoglievano – pur con fatica (cf. Gv 6,61: «Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: “Questo vi scandalizza?”») – tutta la persona del Maestro e il suo insegnamento. Il testo evangelico è scandito dal rifiuto di «molti dei discepoli» (Gv 6,60), da una riflessione centrale (Gv 8,61-65), dall’abbandono di «molti dei discepoli» (Gv 6,66) e dalla provocazione di Gesù che ottiene come risposta l’atto di fede dei Dodici per bocca di Pietro (Gv 6,67-69). Due sono i punti focali: la riflessione centrale e la confessione di Pietro. Nella riflessione centrale Gesù prepara i suoi alle realtà di fede che possono destare incomprensione: Gesù ascenderà in cielo e lo Spirito di verità verrà su di loro. Per accogliere queste verità «scioccanti», è necessario credere. Al di fuori della fede non si possono né capire né cogliere. Al di fuori della fede ci può essere solo il tradimento (abbandonando il Maestro e tradendo se stessi). La confessione di Pietro è commovente. Con estrema chiarezza Gesù invita anche i Dodici ad andarsene, se ritengono che sia giusto così. La risposta di Pietro evidenzia che solo Gesù ha parole di vita eterna e in Lui opera la potenza divina della vita («tu sei il Santo di Dio»). (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

In alcuni formulari del Confiteor recitati dal penitente, infatti, si trova un preciso inciso che richiama il suo orientamento verso l’altare. Inoltre, il penitente insieme al sacerdote si prostrava per terra di fronte all’altare per recitare i salmi penitenziali in modo da favorire ed esprimere la contrizione e prepararsi alla confessione dei peccati. Ciò conferma che la celebrazione sacramentale non solo doveva compiersi in chiesa ma che doveva avvenire anche coram sancto altari, davanti a un altare, probabilmente non più l’altare maggiore, ma uno di quelli situati nelle cappelle laterali con il ministro all’interno e separato da cancelli dal penitente. La terza fase della prassi sacramentale della penitenza comincia a formarsi dall’XI secolo ed è la cosiddetta penitenza privata. Questa volta però il termine «privata» indica ancora di più una dimensione puramente «privatistica» e «intimistica» della celebrazione del sacramento, e che d’ora in poi sarà comunemente e semplicemente chiamata confessione. Già nel secolo precedente si erano poste le condizioni per una nuova e ulteriore disciplina soprattutto con la decisa affermazione della prassi di una «confessione» privata e, soprattutto, con l’introduzione del momento della riconciliazione del penitente prima delle opere penitenziali, cioè semplicemente dopo l’accettazione di una leggera soddisfazione. L’atto della confessione dei peccati, di fatto, diventava il momento preponderante dell’intero sacramento ed era considerato come una nuova equivalenza per la soddisfazione, ora posticipata all’assoluzione. Per ricevere subito il perdono, dunque, era sufficiente la vergogna che ne derivava dall’accusa, il rossore che l’esprimeva, il senso di umiliazione che i penitenti erano condotti a provare anche attraverso le domande, le parole e le preghiere del sacerdote. Altri elementi, poi, concorrono al formarsi e diffondersi di questa nuova prassi. Il «ministero sacerdotale» diventa esclusivo nella celebrazione: solo il vescovo e il sacerdote potranno, d’ora in poi, (diversamente da alcune pratiche del passato) ascoltare le confessioni, imporre la penitenza, dare l’assoluzione e dunque rimettere i peccati, accompagnare con la preghiera e l’esempio di vita il cammino di conversione e riconciliazione dei fedeli. Il Concilio Lateranense IV (1215) prescrive a ogni fedele di confessarsi almeno una volta all’anno, come di comunicarsi almeno a Pasqua, e di farlo solo dal proprio curato; al confessore chiede di non violare il segreto e di interrogare diligentemente il penitente dei propri peccati (cf. Denzinger 812-814). Il Concilio Fiorentino (1439), facendo accettare agli Armeni un decreto sulla fede e sulla pratica sacramentale, a proposito della riconciliazione ratifica e rende magistero ufficiale della Chiesa cattolica i risultati della teologia scolastica, allora predominante. Gli atti del penitente (contrizione, confessione orale, soddisfazione che gli viene prevalentemente con l’orazione, il digiuno e l’elemosina) sono la «quasi materia» del sacramento e le parole di assoluzione, solo individuale, ne sono la «forma»; «ministro» è il sacerdote munito della debita facoltà; «effetto» del sacramento è l’assoluzione dei peccati (cf. Denzinger 1323). [8 continua]

Programma dal 17 al 25 agosto 2024

Letture: Proverbi 9,1-6 / Salmo 33 / Efesini 5,15-20

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.

Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 17
Domenica 18 10.30 + Berardi Francesco, Maria, Demo e Luigi
Lunedì 19
Martedì 20
Mercoledì 21
Giovedì 22
Venerdì 23
Sabato 24 18.30 + Dovadola Monica, Iano, Silverio e Ruffini Armanda

25° di Matrimonio di: Lupo Ubaldo

Di Caterina Maria Grazia

Domenica 25

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Agosto 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 18

XX del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Giovedì 22

B. V. Maria Regina

S. Messa ad orario feriale.
Venerdì 23 Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario
Sabato 24

S. Bartolomeo Ap.

S. Messa vespertina della domenica.
Domenica 25

XXI del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Mt 19,16-22 Mt 19,23-30 Mt 20,1-16 Mt 22,1-14 Mt 22,34-40 Gv 1,45-51

Vivere il mistero – La colletta propria di questa domenica, nella seconda petizione, chiede con una felice intuizione il dono della «certezza di partecipare al festoso banchetto del tuo regno». Sono le parole di Gesù diventate preghiera: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Qui c’è la sintesi migliore sul valore salvifico dell’Eucaristia. Gesù adempie le promesse insite nel libro dei Proverbi. La Sapienza, infatti, dice «Venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino». Assumere il pane e il vino della Sapienza equivale ad abbandonare la stoltezza e vivere seguendo le vie dell’intelligenza. Traducendo il linguaggio veterotestamentario nel linguaggio evangelico, il messaggio è: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Vivere bene l’Eucaristia è garanzia di salvezza e di risurrezione. Inoltre, vivere bene l’Eucaristia equivale a rimanere in Cristo e Cristo nel credente, per sempre (Gv 6,56). Scendendo nei particolari, nelle parole del Maestro ci sono due verità che non si possono sottacere. La carne e il sangue di Gesù sono il cibo e la bevanda simbolici, bensì veri, autentici, reali («La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda»). Si tratta di una verità che illumina di una luce unica le parole dell’ultima cena sinottica «Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue…». Il Vangelo della settimana scorsa terminava con Gv 6,51. Il Vangelo di questa settimana (Gv 6,51-58) riprende il v. 51 perché i vv. 51.58 formano una inclusione perfetta, dove l’autorivelazione di Gesù («Io sono il pane vivo disceso dal cielo»: v.51 // «Questo è il pane disceso dal cielo»: v. 58) dev’essere capita come funzionale al bene globale e definitivo dell’uomo («5e uno mangia di questo pane vivrà in eterno»: v.51 // «Chi mangia questo pane vivrà in eterno»: v.58). Il testo evangelico può essere diviso in tre parti: il primo elemento di inclusione (v.51), il dialogo tra i Giudei e Gesù (vv.52-57) e il secondo elemento di inclusione (v.58). Il primo elemento di inclusione (v.51) – secondo alcuni studiosi – potrebbe contenere il ricordo della formula eucaristica aramaica; formula probabilmente usata dalla comunità giovannea. Più importante è il messaggio di Gv 6,51: le parole di Gesù non riducono la salvezza a un’idea: la salvezza è un dono che viene da Dio in modo concreto perché concreto è l’uomo che è chiamato a riceverla. La salvezza divina coglie l’uomo quando l’uomo vive nel suo corpo ed è attraverso il corpo che la salvezza di Dio permea tutto l’uomo. Attraverso l’azione più umana e primordiale, mangiare-bere, l’uomo accoglie e rende permanente in sé la vita divina, quella eterna. Di fronte alle parole di Gesù subentra la razionalità critica che non lascia spazio alla fede: «Come può costui darci la sua carne da mangiare». La domanda è lecita. La risposta di Gesù non sfuma né affievolisce né attenua la sua affermazione. (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

La penitenza tariffata, poi, poteva ripetersi senza limiti, non più una sola volta, e il peccatore poteva essere riconciliato, non solo alla fine della Quaresima, ma in ogni tempo dell’anno e, soprattutto, perdendo ogni forma di carattere pubblico del suo stato e della penitenza da compiere. Inoltre, ogni sacerdote diventava normalmente il ministro di un sacramento fin lì riservato al vescovo. I concili carolingi del IX secolo provarono ancora a restaurare l’antica disciplina a causa della crescente arbitrarietà e irrilevanza delle pene che, sebbene inizialmente fossero severe, ben presto attaccarono il nuovo «sistema tariffario». Tuttavia questo tentativo fallì e inizio ad affermarsi un principio che rimase valido, praticamente solo idealmente, nei secoli successivi: a peccato pubblico, penitenza pubblica; a peccato privato, penitenza privata. La descrizione del luogo della celebrazione potrebbe essere sintetizzata con un’espressione a effetto, che come tale è senz’altro riduttiva ma certamente esplicativa: il luogo della penitenza tariffata è la chiesa, ma senza la Chiesa. Centrale ed essenziale, esattamente come la prassi pubblica antica, rimane l’edificio dedicato al culto pubblico. Ma ciò che viene a mancare è proprio la dimensione ecclesiale, tanto nella celebrazione quanto nell’itinerario di conversione del penitente: la Chiesa, come madre e sorella, è ridotta al minimo. Nel sacramento, la comunità dei fedeli è praticamente esclusa e assente: resta un fatto privato solo tra il sacerdote e colui che viene a chiedere e ottenere il perdono. II luogo precipuo in cui il ministro, e solo lui, accoglie il peccatore – per ascoltare la confessione, per comminargli la soddisfazione e poi, dopo averla compiuta, in un secondo momento, concludere il percorso penitenziale con la riconciliazione – rimane sì la chiesa ma ridotta semplicemente a un’aula vuota. Se il sacramento mantiene, ancora per poco, la peculiarità di un cammino di conversione, l’edificio cultuale perde invece subito la sua antica dinamicità, dove anche gli spazi utilizzati nella celebrazione erano segno e simbolo di un itinerario penitenziale e di una partecipazione reale di tutta la comunità con i suoi diversi ministeri: tutto è ridotto alla semplice indicazione che il sacramento deve compiersi in chiesa, alla presenza del solo sacerdote. Negli antichi Ordines Romani, sia anteriori sia posteriori al Mille, non viene infatti precisato alcun luogo particolare nella chiesa dove si debba amministrare il sacramento, anzi – secondo qualche studioso – pare che l’accusa dei peccati potesse essere compiuta anche in casa del sacerdote. Da essi, comunque, si deduce che il sacerdote stava seduto sopra un sedile qualsiasi, aperto e mobile, mentre il penitente accusava i propri peccati seduto accanto o di fronte a lui. Quando invece tornava la seconda volta per ricevere l’assoluzione – anche se ben presto questa avverrà subito dopo l’accettazione della penitenza – doveva mettersi in ginocchio davanti al ministro, il quale, probabilmente in piedi, recitava una o una serie di preghiere imponendo una o entrambe le mani sul capo del penitente come gesto di perdono. Nonostante tutto, la disciplina della penitenza tariffata conservò l’antico riferimento all’altare, quindi alla pienezza del cammino di riconciliazione con la celebrazione dell’Eucaristia, alla quale coloro che avevano fatto l’accusa dei propri peccati dovevano astenersi per tutto il tempo penitenziale fino all’assoluzione. [7 continua]

Programma dal 10 al 18 agosto 2024

Letture: 1Re 19,4-8 / Salmo 33 / Efesini 4,30-5,2

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,41-51)

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 10 18.30 + Rivalta Ornella
Domenica 11 10.30 + Lorenzo Moroni
Lunedì 12
Martedì 13
Mercoledì 14
Giovedì 15 18.30 Familiari e parenti vivi e defunti della fam. Dovadola e Ruffini e intenzioni di Maria Teresa
Venerdì 16
Sabato 17
Domenica 18 10.30 + Berardi Francesco, Maria, Demo e Luigi

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Agosto 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 11

XIX del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Martedì 13

S. Cassiano m.

Ore 10.30 (Cattedrale) : S. Messa solenne presieduta dal vescovo mons. Giovanni Mosciatti nella solennità del Santo Patrono.
Mercoledì 14

S. M. Maria Kolbe

S. Messa della vigilia.
Giovedì 15

Assunzione della B. V. Maria

Giornata comunitaria a Piedimonte (vedi sotto)

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (in S. Paolo)

Venerdì 16 Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario
Domenica 18

XX del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

15 agosto Giornata comunitaria a Piedimonte (programma)

Ore 11.00 S. Messa nella chiesa di Piedimonte

Ore 12.30 Pranzo insieme (la parrocchia offre la minestra)

Ore 15.00 S. Rosario

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Mt 17,22-27 Mt 17,22-27 Mt 18,15-20 Lc 1,39-56 Mt 19,3-12 Mt 19,13-15

Vivere il mistero – Incontrare Gesù non era cosa semplice. O Egli era considerato solo uomo e allora diventava logico chiedersi chi fosse suo padre e sua madre. O Egli era molto di più e allora diventava logico chiedersi a che cosa fosse dovuta la sua presenza nella storia. Gesù ha dato la risposta: Egli è uomo e Dio, è venuto a dare quella vita che all’uomo manca. Gesù si presenta come pane vivo disceso dal cielo, donato all’uomo perché compia il misterioso pellegrinaggio verso la vita eterna. Questo percorso è stato già anticipato e profeticamente annunciato nel pellegrinaggio compiuto da Elia verso il monte Oreb che rappresenta in qualche modo la vita del credente. Il pellegrinaggio della vita è qualche cosa di molto impegnativo. Come per Elia, anche per il cristiano c’è bisogno di un cibo che sostenga il cammino. Questo cibo è la persona di Gesù, pane vivo disceso dal cielo, donato all’uomo perché compia il misterioso pellegrinaggio verso la vita eterna: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Il pane che Gesù intende dare è il suo corpo. Le parole che concludono il pensiero del Maestro sono inequivocabili: «E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Il testo di Gv 6,41-51 è una pericope «irregolare». Sotto il profilo esegetico, infatti, troviamo una prima unità letteraria in Gv 6,35-50 («lo sono il pane disceso dal cielo») e una seconda in Gv 6,51-59 («lo sono il pane vivo disceso dal cielo»). La liturgia tralascia i primi versetti della prima pericope e associa il primo versetto della seconda pericope, formulando una pericope nuova che vuole rimanere agganciata alla pericope di domenica scorsa. Il testo di Gv 6,41-51, infatti, riprende un’espressione («Io sono il pane disceso dal cielo») simile a quella che chiudeva il Vangelo di domenica scorsa («Io sono il pane della vita»). Il testo biblico-liturgico del Vangelo è cadenzato da una triplice ripetizione dell’espressione teologica «lo sono» (Gv 6,41.48.51). Tale espressione è accompagnata da una definizione particolare del pane: al v.41 troviamo «il pane disceso dal cielo», al v.48 «il pane di vita» e al v. 51 «il pane vivo». Alla luce di quanto appena visto, il testo di Gv 6,47-57 si può suddividere in tre momenti auto-rivelativi di Gesù. Egli si svela come pane disceso dal cielo (vv.41-47), come pane di vita (vv.48-50) e come pane vivo (v.51). I Giudei mormorano perché presumono di conoscerlo come l’uomo di Nazareth, figlio di genitori noti a tutti. La risposta di Gesù è tagliente. Solo chi è capace di ascoltare Dio, sa accogliere Gesù. Chi è figlio del demonio e ascolta il demonio, ovviamente, non può accoglierlo. Dopo aver donato il cibo (pane e pesce), ora Gesù propone in dono (ego doso-io darò) la propria carne come pane vero, vivo (nel v.51 il pane non viene detto «di vita», ma «vivente» zon) e vitale, che dona la vita. La carne di Gesù viene donata come offerta sacrificale (doso-darò + uper) per gli uomini. Da qui il senso dell’incarnazione: Gesù ha assunto la carne per donarla. Questa carne (sarx) è destinata a essere mangiata. Solo la «carne-mangiata», che è pane disceso dal cielo, pane datore di vita, pane vivente, può diventare efficace portatrice di vita eterna. (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

Il secondo spazio si riferisce a soluzioni decorative del pavimento dell’aula della chiesa. Si possono trovare, difatti, molti esempi di un percorso, spesso con un tono penitenziale e di riconciliazione, e manifestato attraverso una geometria dinamica degli elementi della pavimentazione, che introduce quanti entrano in un movimento, indica loro una direzione, e li orienta verso un centro e una meta, che è l’altare per la celebrazione dell’Eucaristia, il punto finale appunto di ogni cammino penitenziale. Altri percorsi, invece, sono realizzati mediante gli elementi figurativi dei mosaici pavimentali che permettono di leggere, attraverso le immagini, la ricca parola della misericordia e dell’amore di Dio. Il rigido sistema della penitenza pubblica antica non durò a lungo e presto entrò in crisi, nonostante l’insistenza e la crescente severità degli ammonimenti e dei richiami dei concili, dei teologi e dei pastori. Molto pochi erano quelli che si sottoponevano a questo tipo di penitenza e molti di più erano coloro che l’interrompevano. Ciò favorì l’apparizione di una nuova disciplina penitenziale che, vinte le prime e inevitabili resistenze, talvolta anche di condanna, finì col prevalere ovunque e far scomparire l’antica pratica che versava ormai in uno stato di sfinimento e abbandono. Il secolo VII impose una svolta decisiva nella storia del sacramento della Penitenza introducendo due notevoli cambiamenti che segnarono una rottura netta col passato: la riconciliazione poteva avvenire «in privato» ed essere «ripetuta». In questo modo si aprì una seconda fase che viene indicata come penitenza tariffata. L’avvio della nuova disciplina penitenziale trovò molto probabilmente origine nella prassi in uso nei monasteri celtici e anglosassoni, nelle isole dell’Irlanda e della Britannia, dove la tradizionale penitenza pubblica peraltro non era stata mai praticata. Benché fosse inizialmente riservata ai monaci, essa parve buona pure per i laici e andò presto e rapidamente diffondendosi ovunque in rapporto a nuove situazioni pastorali e culturali. Il modo di chiamarla, derivato dal termine «tariffa», potrebbe apparire ambiguo e causa di equivoci, evocando l’idea di una tariffa-prezzo da pagare per ottenere la riconciliazione. L’origine invece è araba e vuol dire semplicemente «lista» o «elenco», quindi il riferimento a un’elencazione di peccati, secondo la gravità, con un corrispondente elenco d pene. Tali liste erano contenute in uno strumento a uso dei confessori, il Liber paenitentialis, nel quale i peccati erano appunto elencati con la relativa pena da scontare. Il sacramento non avveniva più nel contesto di una celebrazione comunitaria, ma in privato, cioè solo tra il sacerdote e il penitente. Questi, dopo aver confessato i propri peccati e aver ricevuto la soddisfazione da compiere, calcolata in base alla somma dei peccati, veniva dimesso e, solo dopo l’adempimento della pena, ritornava dal ministro per ottenere l’assoluzione. [5 continua]

Programma dal 3 al 11 agosto 2024

Letture: Ez 16,2-4.12-15 / Salmo 77 / Efesini 4,17.20-24

Donaci, Signore, il pane del cielo.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,24-35)

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».

Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».

Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 03 18.30 + Capucci Giuseppa e Foschini Iref
Domenica 04 18.30 + Ruffini Armanda, Dovadola Ivano, Monica e Silverio
Lunedì 05 18.30 Secondo le intenzioni di Maria Teresa+ Luigi Rizzi (detto Carlo)

+ Pilani Ezio

Martedì 06 8.00 + Natale Penazzi e deff. della famiglia+ Dario
Mercoledì 07
Giovedì 08
Venerdì 09 8.00 + Becca Luigi
Sabato 10
Domenica 11 10.30 + Lorenzo Moroni

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : BAgosto 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 04XVIII del T.O. Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Martedì 06Trasfigurazione del Signore S. Messa ad orario feriale
Giovedì 08S. Domenico Ore 20.15 (Madonna del Molino) : Pellegrinaggio al Santuario lughese con recita del S. Rosario e a seguire S. Messa nella Novena in preparazione alla solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
Venerdì 09S. Teresa B. della Croce Comunione agli impediti del Primo Venerdì del meseOre 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario
Sabato 10S. Lorenzo Ore 7.30 (S. Paolo) : Partenza in processione verso il Santuario della B.V. della Consolazione recitando il S. Rosario.Ore 8.00 (Santuario) : Celebrazione della S. Messa
Domenica 11XIX del T.O. Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

15 agosto Giornata comunitaria a Piedimonte (programma)

Ore 11.00 S. Messa nella chiesa di Piedimonte

Ore 12.30 Pranzo insieme (la parrocchia offre la minestra)

Ore 15.00 S. Rosario

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Mt 14,13-21 Mc 9,2-10 Mt 15,21-28 Mt 16,13-23 Mt 25,1-13 Gv 12,24-26

Vivere il mistero – La comunità cristiana legge il miracolo della manna come un evento profetico. Il miracolo della manna, infatti, per i cristiani anticipa il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e contemporaneamente anticipa anche il suo completamento: Gesù, il Verbo incarnato, mandato da Dio come pane della vita, disceso dal cielo per dare la vita al mondo. La manna (prima lettura dal libro dell’Esoso), dunque, è «pane dal cielo» come dal cielo viene la persona stessa di Cristo che è il «pane della vita»: «pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33b). Il testo biblico-liturgico del Vangelo, Gv 6,24-35, è alquanto irregolare per l’esegesi. È composto dall’ultimo versetto del brano precedente (Gv 6,24: conclusione del brano di transizione di Gv 6,22-24), dall’introduzione al discorso sul pane di vita (Gv 6,25-34) e dal primo versetto del discorso sul pane di vita (Gv 6,35: inizio di Gv 6,35-39). Il testo può essere suddiviso in quattro unità, scandite dalle interrogazioni (tre) e dalla domanda della folla: «Rabbi, quando sei venuto qua?» (Gv 6,24-27); «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (Gv 6,28-29); «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?» (Gv 6,30-33); «Signore, dacci sempre questo pane» (Gv 6,34-35). Con le sue risposte Gesù prepara la folla al discorso sul pane di vita. Prima dice che bisogna darsi da fare per la vita eterna, che Gesù donerà. Poi, afferma che la volontà di Dio consiste nel credere in Lui. Segue l’invito a interpretare bene la Scrittura (Es 16,15; Sal 78,24). I contemporanei di Gesù pensavano che fosse stato Mosè a dare la manna, mentre un’attenta analisi filologica del salmo da essi citato dice esattamente ciò che afferma Gesù: Dio e non Mosè è il donatore. La variante del tempo del verbo (ha dato // dà), poi, non ha nessuna difficoltà perché la forma verbale ebraica ha tutti e due i valori. Conclude l’affermazione principale: «lo sono il pane della vita». L’espressione «chi viene a me non avrà fame» è quasi uguale a quanto la sapienza dice di sé nell’Antico Testamento e la «vita» è una parola che in bocca a Gesù significa sempre la vita eterna. Quando, dunque, Gesù dice di sé: «Io sono il pane della vita», intende dire tre cose. La prima riguarda la manna: ciò che la manna simbolizzava, in Gesù è diventata realtà. La seconda riguarda il suo insegnamento: le sue parole sono «parole di vita eterna». La terza riguarda la sua persona: Egli è il pane che dà la vita eterna. (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

La dinamica rituale, inoltre, testimonia che non c’è uno spazio particolare riservato al sacramento, ma la chiesa stessa, come edificio liturgico e immagine del Corpo mistico di Cristo, è coinvolta nella totalità dei suoi luoghi liturgici nel percorso di penitenza e di riconciliazione. L’accoglienza dei penitenti, infatti, viene fatta alla porta dell’edificio, segno di una comunità che, dopo aver annunciato il bisogno di conversione, riceve maternamente coloro che portano la ferita del proprio peccato e li accompagna con la testimonianza di vita, con la proclamazione della Parola di misericordia e con la preghiera fraterna. Nel centro della navata il vescovo, insieme all’assemblea, prega con e per coloro che, pentiti, cominciano un lungo e duro cammino di purificazione e di rinnovamento. Sempre sulla soglia della chiesa, al termine dell’itinerario penitenziale, i penitenti vengono presi per mano dal vescovo e accompagnati al centro della comunità riunita in preghiera, davanti all’altare, dove avviene la loro riconciliazione con Dio e con la Chiesa stessa. Diventati nuova creatura, proprio come i catecumeni nel battesimo, ora possono partecipare nuovamente e pienamente alla celebrazione del memoriale della Pasqua di Cristo con i propri fratelli convocati nella gioia e nella festa intorno all’altare. Il luogo proprio della Penitenza nella Chiesa antica è dunque l’aula liturgica, intesa come un luogo dinamico, nella quale si celebra il sacramento e si rende manifesto sia l’itinerario di conversione del penitente sia il volto e l’azione della Chiesa che, come madre e sorella, è coinvolta in questo cammino. Infine, meritano di essere almeno accennati i due spazi legati alla celebrazione della penitenza che l’arte e il genio architettonico hanno particolarmente curato e riempito di simbolismo. Il primo è quello connesso alla porta. La forte carica evocativa che essa possiede – della quale già si è avuto modo di parlare nell’articolo a essa dedicato – è particolarmente legata al sacramento della riconciliazione. La porta si pone come il termine di una realtà e l’inizio di un’altra. È qui che i penitenti venivano accolti per iniziare un cammino di conversione; è qui che il vescovo, il giovedì santo, li riceveva di nuovo per introdurli, una volta riconciliati, nella comunità dei fedeli. La soglia da varcare è figura di Cristo stesso: «Io sono la porta se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9). Proprio in funzione di questo passaggio dei penitenti e anche dei catecumeni, l’architettura ha arricchito le chiese del nartece, una specie di atrio o vestibolo che se è addossato all’esterno della facciata prende il nome di esornartece, mentre se viene ricavato, più raramente, all’interno di essa è chiamato endonartece. La sua funzionalità non si esaurisce nel passaggio che conduce all’interno, ma pure a quello che apre all’esterno: il penitente, pienamente riconciliato, torna nel «mondo» per vivere e testimoniare il perdono e la misericordia ricevuti. [4 continua]

Programma dal 27 luglio al 4 agosto 2024

Letture: 2Re 4,42-44 / Salmo 144 / Efesini 4,1-6

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».

Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.

Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.

E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.

Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 27 18.30 De Giovanni Anna (1° anniv.)
Domenica 28 10.30

18.30

+ Rita, Elmore e Stefano

+ Ruffini Vittorio

Lunedì 29 18.30 + Montesi Natale
Martedì 30
Mercoledì 31 18.30 + Talina

+ don Francesco Nanni

Giovedì 01 18.30 + Losanna e Antonio Dalmonte
Venerdì 02
Sabato 03 18.30 + Capucci Giuseppa e Foschini Iref
Domenica 04 18.30 + Ruffini Armanda, Dovadola Ivano, Monica e Silverio

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Luglio – Agosto 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 28

XVII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)
Giovedì 01

S. Alfonso Maria de Liguori

S. Messa ad orario feriale

Ore 12.00 Inizio pratica del “Perdono d’Assisi”

Venerdì 02 “Perdono d’Assisi” per tutta la giornata

Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario

Domenica 04

XVIII del T.O.

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

PER RICEVERE L’INDULGENZA PLENARIA DEL PERDONO DI ASSISI

(per sé o per i defunti)

Tale indulgenza è lucrabile, per sé o per le anime del Purgatorio, da tutti i fedeli quotidianamente, per una sola volta al giorno, per tutto l’anno in quel santo luogo e, per una volta sola, da mezzogiorno del 1° Agosto alla mezzanotte del giorno seguente, visitando una qualsiasi altra chiesa francescana o basilica minore o chiesa cattedrale o parrocchiale.

Le condizioni per acquistare il Perdono sono quelle prescritte per tutte le indulgenze plenarie:

  • Confessione sacramentale per essere in grazia di Dio (negli otto giorni preced. o seg.)
  • Partecipazione alla Messa e Comunione Eucaristica;
  • Visita alla chiesa della Porziuncola (o un’altra chiesa francescana o chiesa

parrocchiale), per recitare alcune preghiere;

In particolare:

Il CREDO, per riaffermare la propria identità cristiana;

Il PADRE NOSTRO, per riaffermare la propria dignità di figli di Dio,ricevuta nel Battesimo;

UNA PREGHIERA SECONDO LE INTENZIONI DEL PAPA (ad esempio Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre), per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.

Fu canonizzata il 7 ottobre 1391. Un data mariana anch’essa, come si può vedere. Nella Bolla di canonizzazione si affermava che la santa “per grazia dello Spirito Santo meritò di vedere visioni, di udire rivelazioni e di predire molte cose con spirito profetico”, riconoscendo quindi alla mistica svedese il carisma della profezia, raramente affibbiato a una donna nella storia della Chiesa.

1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Lc 10,38-42 Mt 13,36-43 Mt 13,44-46 Mt 13,47-53 Mt 13,54-58 Mt 14,1-12

Vivere il mistero – Il brano evangelico odierno, Gv 6,1-15, narra il miracolo della moltiplicazione dei pani. Le tematiche del Vangelo sono diverse. A una lettura veloce, si potrebbe dire che il brano illustra il tema dell’iniziativa umana e del suo limite, soccorsa dall’intervento miracoloso di Dio. Filippo e Andrea rappresentano la buona volontà dell’uomo nel reagire alla difficoltà di trovarsi di fronte a una folla numerosa e affamata. Gesù rappresenta l’intervento divino che va incontro al limite umano. Si potrebbe anche aggiungere che il Vangelo illustra il miracolo della solidarietà umana, che in mano a Dio diventa molto più grande di quanto possa apparire. La solidarietà è il dono dei cinque pani e dei due pesci, fatto dal ragazzo in mano a Gesù quella solidarietà ha sfamato cinquemila persone. La tematica più profonda è, da una parte, la fame dell’uomo, sia fisica sia spirituale. Dall’altra, si trova la risposta di Gesù con il dono del pane che, inserito nei gesti di Gesù, contiene in sé una ricchezza che va oltre la sola capacità di saziare la fame fisica. I Sinottici evidenziano la collaborazione dei discepoli nell’opera di Gesù: «Spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla». Giovanni, invece, pone in primo piano l’azione di Gesù soltanto: «Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero». Esiste un sottile legame tra l’apertura del discorso della montagna di Matteo e l’apertura del racconto giovanneo. In tutti e due i casi Gesù sale sul monte, si siede circondato dai suoi discepoli. Più lontano c’è la folla da una parte destinataria del discorso, dall’altra beneficiaria del miracolo. Il legame permette di dire subito che non può esistere l’accoglienza della buona novella del discorso della montagna senza l’esperienza piena dell’Eucaristia e viceversa: non c’è vera esperienza dell’Eucaristia senza l’accoglienza della buona novella del discorso della montagna. Lo scenario concentra l’attenzione del lettore sulla folla che segue Gesù non per il suo messaggio o per la sua persona, ma solo «per i segni che faceva sugli infermi». In questa situazione Gesù compie un gesto simbolico: «salì sulla montagna», come Mosè. Gesù è la nuova Guida per la nuova Pasqua. Non a caso c’è l’accenno alla «molta erba», che allude sia all’esodo «pascoli erbosi» dove Dio-pastore fa riposare le pecore del suo gregge: sia al tempo messianico (il deserto sarebbe germogliato). La domanda di Gesù a Filippo apre la pericope della prova. Filippo, infatti, ragiona secondo il criterio dell’autosufficienza e tale criterio si amplifica nel dialogo tra Filippo e Andrea. Filippo e Andrea rappresentano tutto ciò che l’uomo autosufficiente può fare di fronte a un caso disperato. I cinque pani d’orzo e i due pesci secchi, trovati in mano al ragazzino, sono il cibo dei poveri. Da questa povertà nasce il miracolo, che viene narrato con parole di valore «eucaristico». Gesù «prende i pani» (espressione sinottica dell’ultima cena), «rende grazie» (eucharistein = è il verbo dell’Eucaristia) e «distribuisce» (richiama l’espressione dell’ultima cena lucana, «lo diede loro»; ma anche a Emmaus. La cura che Gesù pone sulla raccolta degli avanzi, non è solo allusione alla cura che bisogna avere dell’Eucaristia, ma è anche allusione all’unità della Chiesa: la Didaché, infatti, usa l’immagine della raccolta dei frammenti eucaristici per indicare l’unità della Chiesa. Ma c’è di più. Quella cura dei cristiani verso il pane eucaristico è la stessa cura che Gesù ha per i suoi discepoli di sempre: nulla deve andare perduto di quanto il Padre gli ha dato (cf. Gv 6,39). (don Renato De Zan)

Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

La celebrazione liturgica prevedeva diversi riti: l’accoglienza dei penitenti, l’imposizione delle mani (ripetuta durante tutto l’itinerario penitenziale), la preghiera del vescovo e dell’assemblea, la vestizione con abiti penitenziali e con il cilicio, e l’espulsione simbolica dalla comunità. La solenne riconciliazione dei penitenti, che avveniva il giovedì santo secondo la consuetudine della Chiesa romana, era sempre presieduta dal vescovo, con la partecipazione di tutta la comunità. Il rito si concludeva con l’imposizione della mano o delle mani da parte del vescovo, insieme con il suo clero, accompagnato dalla preghiera di supplica e di perdono. È importante sottolineare che, avendo il peccato grave allontanato il peccatore dalla comunione ecclesiale, e quindi dal banchetto eucaristico perché sua massima espressione di unità, la riconciliazione si lega intimamente al sacramento dell’altare, che diventa il suo fine ultimo e il compimento dell’intero percorso penitenziale. Infatti, la celebrazione della riconciliazione si svolgeva ordinariamente all’interno della Messa o, in caso di grave malattia e impedimento, immediatamente prima di ricevere il viatico. Il primo documento liturgico che ci offre un rituale sufficientemente coerente e organico di questa prassi antica è un sacramentario romano, il Gelasianum Vetus (Vaticanus Reginensis 316), la cui redazione è attestata intorno al 750 ma le sue parti più antiche possono essere fatte risalire al VI secolo. Il luogo della celebrazione della penitenza pubblica, in tutti i suoi momenti celebrativi e in tutte le sue fasi storiche, è comunque sempre unico e chiaro: l’aula liturgica, cioè l’edificio nel quale l’assemblea dei credenti si raccoglie per la preghiera e per celebrare i misteri salvifici di Cristo. Il termine «pubblica» acquista qui il suo significato più genuino: la penitenza avviene nella, con e attraverso la comunità dei fedeli, dove il luogo liturgico è propriamente figura e segno del «mistero della Chiesa». Possiamo ben affermare che la tradizione antica esprime con pienezza, tanto nel rito quanto nel luogo della celebrazione, la dimensione ecclesiale e comunitaria del sacramento. [3 continua]

Programma dal 18 al 26 maggio 2024

Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11 / Salmo 103 / Galati 5,16-25

Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (15,26-27.16,12-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Parola del Signore.

VITA ECCLESIALE

Sabato 18 18.30 + Sangiorgi G. Battista
Domenica 19 10.30

18.30

+ Alfonso, Alma, Maria e don Orfeo

Secondo le intenzioni di Maria Teresa

Lunedì 20 18.30 + Ines
Martedì 21 8.00 + Antonio
Mercoledì 22
Giovedì 23
Venerdì 24 8.00 + Dovadola Monica, Ivano, Silverio e Ruffini Armanda
Sabato 25
Domenica 26 10.30

18.30

+ Berardi Francesco, Maria, Demo e Luigi

+ Toffanello Teresina

Orario Confessioni Venerdì ore 10.0011.00 (don Pietro)

Sabato ore 11.0012.00 (don Pietro)

ore 17.1518.15 (don Pietro)

N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.

Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00

Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30

Festivo : ore 10.30, 18.30

Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)

Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario

Anno : B

Maggio 2024

LA VITA DELLA COMUNITA’

Domenica 19

Pentecoste

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

Ore 17.50 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Lunedì 20

B.V. Maria Madre della Chiesa

S. Messa ad orario feriale

Ore 20.30 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Ore 21.15 (canonica) : Caritas parrocchiale

Martedì 21 S. Messa ad orario feriale

Ore 20.30 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Mercoledì 22

S. Rida da Cascia

S. Messa ad orario feriale.

(Dalle ore 9.00 alle 12.00 e dopo la S. Messa delle ore 18.30) benedizione delle rose nella memoria di S. Rita

Ore 20.30 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Ore 21.00 (canonica) : Prove del “Coro S. Paolo”

Giovedì 23 Ore 20.30 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.
Venerdì 24 Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario

Ore 20.30 (S. Paolo) : Processione con l’immagine della B. V. della Consolazione nel quartiere Bolognano. (vedi sotto)

Sabato 25 Ore 17.50 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Ore 19.30 (oratorio) : Incontro giovani famiglie

Domenica 26

Ss.ma Trinità

Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo)

Ore 15.00 (oratorio) : Intrattenimento con merenda a cui sono particolarmente invitati i “Giovani di una volta”.

Ore 17.50 (S. Paolo) : S. Rosario del mese di maggio.

Visita alle famiglie con benedizione

(dalle ore 15.00)

Lunedì 20 : C.so V. Veneto, via dei Lombardi,

p.za Mazzini, p.za Matteotti

La processione nel quartiere Bolognano

Partenza dalla Chiesa di S. Paolo, corso V. Veneto, p.za U. Ricci, via Martiri della Libertà, via Padre Costa, via Decorati al Valor Civile, via Fratelli Cervi, via Berardi, via Moro, via A. De Gasperi, (breve sosta davanti alla Caserma dei Carabinieri), via Togliatti, via Padre Costa, via Pertini, via Gramsci, via Risorgimento, p.za Marmirolo, via Ricci Signorini fino alla Chiesa di S. Paolo.

Alla scuola di Gesù :
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato
Gv 19,25-34 Mc 9,30-37 Mc 9,38-40 Mc 9,41-50 Mc 10,1-12 Mc 10, 13-16

Vivere il mistero – Nella sensibilità del quarto Vangelo la «verità» non si identifica con la logica supponente così cara al pensiero greco. Essa è sinonimo del più grande «amore» con il quale il Cristo ci ha amato sino alla fine e oltre ogni fine. Il Padre riversa dentro di noi il suo Spirito perché ci renda capaci di portare il «peso» di questa infinita ricerca di intimità che diventa radice di ogni autentica forma di solidarietà. Temprati da questo fuoco, sospinti da questa brezza, iniziamo e proseguiamo il nostro cammino di conversione, di crescita interiore, con la pazienza di chi conosce i propri limiti, ma con la perseveranza di chi ha già sperimentato la forza e la costanza di una presenza che mai si assenta. Come ricordava Gregorio Magno, il desiderio si amplia con il suo protrarsi perché l’attesa invece di spegnere non fa che approfondire il desiderio e la passione interiore di portare a compimento i piccoli passi di conversione che ogni giorno cerchiamo di compiere. Questo ci viene assicurato solennemente dalla Parola di Gesù il quale ci rassicura: «lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità». Ma è lo stesso Signore Gesù che, con misericordia materna, ci consola del fatto che egli conosce la debolezza delle nostre spalle tanto da sapere quanto e come non siamo «capaci di portarne il peso» La Chiesa, come pure ciascuno di noi, quali membra vive di un unico corpo ci troviamo sempre nella condizione degli apostoli. Dopo la risurrezione e l’ascensione i discepoli nel Cenacolo «insieme» diventano capaci di portare e di annunciare l’esperienza vissuta con il Signore Gesù. Efrem Siro, con la sua consueta penetrazione poetica, non esita a immaginare il collegio degli apostoli «come fiaccole pronte in attesa di essere illuminate dallo Spirito Santo per illuminare con il loro insegnamento l’intera creazione». Sprofondandosi nella contemplazione del mistero della Pentecoste nella sua omelia per questa luminosa solennità, il diacono Efrem ci aiuta a leggere l’icona di questa festa – in cui gli apostoli sono ordinatamente seduti in semicerchio – quale grembo che attende di essere fecondato e come «agricoltori che portano la semente nella falda del loro mantello in attesa di ricevere l’ordine di seminare». Non solo, li descrive anche «come marinai la cui barca è legata al porto del Figlio e che attendono di ricevere la brezza dello Spirito». Nella nostra esperienza quotidiana tutti noi sappiamo che senza il fuoco e senza il calore nulla può essere trasformato e nessun alimento può essere cotto. Se questo vale per le cose che la natura ci offre e che noi amiamo trasformare per rendere più nutrienti e gustose, vale altresì anche per noi stessi, per la nostra vita fatta di emozioni e sentimenti che «si oppongono a vicenda» (Gal 5,17). La Pentecoste è una trasformazione che implica tutta la persona e la rifonda in se stessa e in relazione con gli altri. L’apostolo Paolo lo esplicita in modo forte: «Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,24-25). Con il dono pieno dello Spirito – secondo la promessa del Risorto – il fiore della Pasqua matura nel frutto della Pentecoste. Il suo profumo di gioia è percepibile come il primo covone che il popolo di Israele presentava al Tempio; come la Legge ormai scritta nei cuori del cui dono sul Sinai si fa oggi memoria nella Sinagoga e in virtù della quale ogni uomo è libero e restituito alla sua originale regalità al pari e secondo l’icona di Davide di cui i pii israeliti ricordano sempre oggi la nascita. Con la nostra disponibilità facciamo in modo che lo Spirito rinnovi la speranza e ci ridoni pienezza di vita. [p. M. D. Semeraro]

Spazi per la liturgia- La sede del celebrante (seconda parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)

Il paragrafo delle Premesse del Messale dedicato specificatamente alla sede del celebrante viene introdotto proprio da un’affermazione preoccupata di darne una definizione attraverso la funzione che essa esercita: con la sua collocazione e fattura, la sede deve esprimere e manifestare niente più che «il compito che egli (il celebrante) ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera» (OGMR, n. 310). La natura e la forma della sede nell’aula ecclesiale, perciò, è precisamente in funzione della presidenza liturgica. Colui che, in forza dell’Ordine sacro, presiede l’assemblea è anche colui che insegna e offre il sacrificio, è colui che parla e agisce in nome di Cristo e con la sua autorità, perché – come ha sottolineato il Concilio – in colui che tiene la presidenza nella sinassi liturgica e nella preghiera è presente Gesù stesso (cf. SC 7). La sede, in se stessa, diventa un’icona di questa presenza di Cristo. Si tratta di una presenza diversa da quella manifestata dall’altare, dall’ambone e nei fedeli radunati nel suo nome, di cui fa parte pure colui che presiede. Infatti, la sede deve designare il presidente della celebrazione non solo come capo ma anche come parte integrante dell’assemblea che tutta intera celebra i misteri della salvezza. La Nota pastorale dei Vescovi italiani sull’adeguamento liturgico delle chiese ci offre un’efficace sintesi: «La sede è il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l’assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, Capo e Pastore, e nella persona della Chiesa, suo Corpo». Torna, infine, alla mente quanto sant’Agostino ricordava ai suoi fedeli: «per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano» (Sermo 340, 1): in colui che presiede si manifesta tanto il carattere ministeriale di Cristo Capo, ricevuto nell’ordinazione sacerdotale, quanto il carattere sacerdotale comune a tutti i battezzati, e quindi anche del presbitero. Ecco allora che il primo cambiamento della riforma liturgica lo notiamo subito nella nuova denominazione, che viene a sostituirne una divenuta evidentemente inadeguata alla sua natura: non si può e non si deve più parlare di «trono», perché la sua funzione primaria non è quella di rendere onore o di esaltare una dignità o autorità, come appunto avviene nei cerimoniali civili o nobiliari, ma piuttosto di «sede» o di «seggio» per la presidenza liturgica oppure di «cattedra», riservata questa esclusivamente al vescovo nella sua diocesi. Inoltre, per entrambi, cioè per la sede del vescovo e del presbitero, la rinuncia al trono è soprattutto nel «come» viene realizzata e si presenta: «si eviti ogni forma di trono» (OGMR, 310). (2 continua)