Il restauro alla cappellina del SS.mo Sacramento

Nei mesi scorsi, grazie alla generosa offerta di una parrocchiana, è stato possibile realizzare un intervento nella cappella del Santissimo Sacramento, di sostituzione di gran parte dell’intonaco fino ad altezza persona, perché molto umido, con un intonaco traspirante e la relativa imbiancatura di parte della cappella, per renderla ancor più accogliente. Questa operazione ha richiesto varie settimane soprattutto per dare modo al muro di far uscire gran parte dell’umidità e rendere più efficace la resa del nuovo intonaco.
Un grazie di cuore a chi ha permesso la realizzazione di questa opera, che potrebbe segnare l’avvio di un progetto di restauro della intera chiesa di San Paolo, che ha certamente bisogno di un aggiornamento dell’impianto elettrico e di illuminazione, anche per ridurre i costi della energia elettrica, di un restauro delle vetrate istoriate (che lasciano passare soffi di aria fredda in quantità, il rifacimento di altre finestre (apribili soprattutto per dare aria durante l’estate sempre più torrida), l’imbiancatura dell’intera chiesa e un buon restauro dell’organo a canne potrebbe completare l’opera. L’esempio di questa parrocchiana, spero possa far nascere a qualche altro la volontà di dare un congruo contributo a tal fine. Ovviamente questo tipo di intervento vedrebbe il contributo dell’8Xmille pari al 70% della spesa il resto sarebbe a carico dei parrocchiani. Nell’Anno Santo della Speranza……spero.
Don Pietro, parroco.

San Paolo testimone di Speranza

don Pietro Marchetti, parroco

In occasione della festa del nostro Santo Patrono, San Paolo, viene quasi spontaneo domandarci come questo santo abbia vissuto e testimoniato la Speranza Cristiana, dato che nella lettera ai Romani parla di “una Speranza che non delude” (Romani 5,5).
Ci chiediamo, quindi se una vita felice sia sperimentabile quaggiù o se essa appartenga solo a un futuro che non diventerà mai presente.
Certo che la felicità a cui noi aspiriamo non ha nulla a che vedere con una visione edulcorata della vita, che certe riviste patinate o certi programmi televisivi cercano di propinarci, né ha qualcosa da spartire con quella retorica stucchevole di chi è sempre pronto a somministrare facili ricette sul come essere felici.
Di sicuro la felicità non è uno stato d’animo circoscrivibile una volta per tutte, soprattutto perché essa va compresa sullo sfondo della complessità della vita, che nella sua concretezza non è priva di asperità o di sofferenze che sembrano contraddire le aspettative di felicità che albergano nel nostro cuore. L’antidoto contro l’estinzione di ogni aspettativa o desiderio di felicità che portiamo in cuore ci viene proprio dalla Speranza. L’importanza che essa riveste nella nostra vita, ha trovato il suo massimo riscontro nel cristianesimo, tanto da collocarla accanto alla fede e alla carità, virtù che fanno riferimento diretto a Dio e che fanno percepire ai credenti la Sua presenza provvida e amorosa, presenza che li illumina e li sostiene nel viaggio spesso faticoso della vita. Per questo occorre che il nostro sperare non rimanga un esercizio astratto o affidato ad altri, ma sia coltivato, come dice Papa Francesco, e sia organizzato nella vita concreta di ogni giorno, sia a livello personale che comunitario per tramite di parole e gesti improntati alla comprensione e all’ accoglienza dell’altro, alla benevolenza, alla solidarietà, alla giustizia e alla pace.
A questo punto diamo la parola al nostro amato San Paolo che nei suoi scritti ci ha lasciato una testimonianza forte di come la Speranza sia sempre stata una sua compagna di viaggio nella vita e di come essa si sia a lui manifestata tanto da affermare che la “Speranza non delude”.
Prima di tutto San Paolo concepisce la vita cristiana come una esperienza che nasce dalla fede e si manifesta nell’amore e si vive nella speranza. Inoltre San Paolo afferma che la Speranza ha un rapporto diretto con la Parola di Dio che attraverso la perseveranza e la consolazione teniamo viva la nostra speranza (Romani cap. 15, 4), in quanto la Sacra Scrittura ci racconta la fedeltà di Dio che avendo sempre mantenuto le promesse a Israele, continuerà ad essere fedele nel presente e nel futuro dei credenti, quindi una Speranza fondata sull’Amore di Dio per l’umanità.
Per San Paolo la speranza cristiana non è una semplice attesa passiva, né una comoda evasione dal presente, né si riduce a un ottimismo facile: è invece fiduciosa e attiva presenza nel mondo. E’ un atteggiamento profondamente impegnativo, che sostiene e anima la perseveranza e la fedeltà del cristiano, perché la speranza cristiana si fonda sull’esperienza dell’amore di Dio, comunicato personalmente e interiormente al credente.
“La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rom. cap. 5, 5).
La Speranza, afferma San Paolo, è un dono di Dio che nonostante le sofferenze della storia, genera misteriosamente gioia e pace nel cuore del credente, quali espressioni della presenza dello Spirito effuso nel suo cuore.
Carissimi massesi, San Paolo, ci ha chiaramente fatto capire che la Speranza è un dono di Dio e non è frutto del nostro ottimismo: allora non ci rimane altro da fare se vogliamo essere persone di speranza, che chiederla con perseveranza e con fede al Signore.

Cristo la nostra unica SPERANZA: Natale 2024

Pietro Marchetti, parroco

Dall’editoriale de “Il Nostro S. Paolo”, dicembre 2024

Tra qualche giorno sarà Natale, a questo evento ci stiamo preparando: che cosa festeggiamo a Natale? Stai soffrendo? Hai paura? Stai attraversando un lutto? Hai perso il lavoro? Hai da poco chiuso una storia in cui credevi molto? Ti senti solo, affranto, senza sogni?
Allora Gesù nasce soprattutto per te. Ti domanderai perché….
Anche noi cristiani cadiamo nella tentazione di vedere il Natale come la parata di Babbo Natale, la sfilata dei sorrisi nelle pubblicità, nei film romantici in cui “tutto finisce bene”, nella cosiddetta “magia natalizia”: luci, pacchi regalo, pupazzi di neve e renne colorate, per le strade risuonano canzoni allegre e le persone corrono da un centro commerciale all’altro. Detta così, il Natale sembra la festa di chi non ha problemi, di chi non ha contrasti in famiglia, di chi non ha motivi per soffrire. E allora cominciamo a chiederci: che Natale sarà per noi ? Saremo tra coloro che potranno festeggiare o tra gli esclusi dalla gioia natalizia ?
Se apparteniamo ai secondi, proveremo solo fastidio e rabbia: tutte quelle luci ci ricorderanno solo il grigiore che c’è dentro di noi.
Che c’entra questo luccichio con noi? Solo se riuscissimo a capire che il Natale è proprio la festa di chi ha il grigiore nel cuore: stai soffrendo? Hai paura? Ti senti solo, affranto, senza sogni? Allora Gesù nasce soprattutto per te : in quella grotta, a Betlemme, si trova un bambino capace di riconciliare chi si odia, di sostenere veramente chi vive una grave malattia, di consolare chi affronta un grave lutto, di donare speranza nel futuro quando tutto sembra perduto.
Natale è la festa di un Dio che si fa uomo perché non vuole lasciarci soli nelle difficoltà. E può fare miracoli per chi ha perso la speranza. Non importa di essere felice e non odiare il Natale se nel cuore non hai pace. Gesù il vero festeggiato, non chiede di essere felici: ci aiuta ad esserlo.
Non fuggire dal Natale, fuggi piuttosto dal rumore. Siediti davanti ad un presepe e dialoga con quel bambino. Guardalo e chiedigli di guarire le tue ferite. Chiedigli di stare con te, ora che sei nella prova.
Il Natale, in fondo, è la festa di chi si arrende ad un amore più grande del male, di chi capisce che da solo non ce la fai, è la festa di chi si lascia riempire da una gioia che scende dall’alto. Esci dai negozi ed entra in quella stalla. Inginocchiati davanti al tabernacolo. Lì c’è il Re della Vita, lì c’è Colui che fa tremare l’inferno e farà tremare anche l’inferno che abita in te.
Non fuggire dal Natale, piuttosto entraci. Non avere paura di essere triste, non t’importi di essere felice, solo inginocchiati come i pastori davanti a Gesù Bambino: Cristo non è venuto nel mondo a portarti un torrone o un panettone, ma a donare Luce a chi si trova nel buio, lascia perdere gli addobbi, vai all’essenza del Natale. Non fissarti sulle luci, fissa la Luce.
Buon Natale, perché, in Cristo, essa sia davvero la festa di tutti e Buon Anno.

ANNO SANTO 2025: Testimoni della speranza

don Pietro Marchetti

Ci stiamo preparando a vivere un tempo di grande Grazia con l’Anno Santo che si apre alla vigilia del Santo Natale di quest’anno, soprattutto saremo chiamati ad essere portatori di Speranza.
Riporto l’introduzione che Mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena e Carpi, ha fatto nel recente incontro al duomo di Faenza, presenti anche tante persone della nostra diocesi. Così ha esordito: “quando si parla del nostro tempo lo si associa alla pesante parola “Crisi”; la crisi del nostro tempo e a questa, si associa, quella della “crisi della nostra Chiesa” e in generale del cristianesimo in occidente: questo è vero perché abbiamo dei fatti e non delle ideologie, abbiamo una crisi culturale che porta tanti drammi esistenziali, tanta solitudine, anche negli adolescenti e nei giovani, che spesso si esprime nel silenzio, nella chiusura; abbiamo una crisi climatica con tutte le sue conseguenze che ben conosciamo; abbiamo una crisi geo-politica impressionante, guerre, tensioni; abbiamo una perdurante crisi economica, la forbice tra ricchi e poveri nel mondo cresce: questo è un fatto e dentro tale crisi c’è anche la Chiesa, grazie a Dio c’è anche la Chiesa, perché diversamente potremmo pensare che la Chiesa sia fuori dal mondo, che viva in una bolla beata, che non si interessa dei problemi della gente, che sorvola la storia come una mongolfiera, invece la Chiesa come l’ha voluta Gesù cammina sulla strada, assieme agli uomini e respira la stessa polvere, vive le stesse gioie e le stesse fatiche.
Quando diciamo “crisi della Chiesa” diciamo una cosa vera, che deve esserci, perché se la chiesa non fosse in crisi non sarebbe la Chiesa di Gesù, sarebbe una chiesa che abita altrove. Però la Chiesa non deve lasciarsi travolgere dalla crisi, ma deve abitare la crisi destando segni di SPERANZA. San Pietro diceva: “siate sempre pronti a rendere ragione, a chiunque vi chiede, della Speranza che è in voi”.
Di fronte alla crisi del mondo la Chiesa non può ripiegarsi su se stessa (si salvi chi può, siamo in un’isola beata, cerchiamo di mantenere quello che c’è, di restaurare, di rifarci il trucco). La Chiesa in questo modo tradirebbe se stessa se si fermasse ad essere un’ isola felice.
Gesù la vuole come Sale-Luce-Lievito, immagini semplici, Gesù non ha mai detto che la Chiesa debba essere un esercito, un castello, ma ha detto “siete il sale, la luce, il lievito” : immagini apparentemente deboli. Se abbiamo fame non mangiamo il sale, ma gli alimenti conditi con il sale, se cerchiamo la luce, non guardiamo il sole, ma le cose illuminate dal sole, e non mangiamo una bustina di lievito, ma mangiamo una torta dove è usato il lievito: questo per dire che noi siamo qui per servire: “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
Il nostro compito è quello di iniettare nel mondo la Speranza che è quella in Gesù Risorto: con Gesù si parla di vita-morte-vita. Già da ora ci debbono essere segni di resurrezione, nelle nostre relazioni: accettiamo serenamente di non essere tutta la pasta, ma soltanto il lievito, accettiamo di essere minoranza, però CREATIVA, non minoranza AGGRESSIVA ma neanche minoranza REMISSIVA, ma CREATIVA.
“Proponiamo qualcosa di bello, iniziando ad abbassare il tono dei lamenti che sono tanti. La Chiesa non si deve ripiegare su se stessa, ma mantenere una attenzione al territorio e ai suoi problemi” .
Questo è il compito che Gesù chiede a ciascuno di noi e alla nostra comunità: essere lievito di SPERANZA.