CENNI STORICI
Il 27 giugno 1528 una Bolla di Monsignor Scribonio dei Cerboni, vescovo di Imola, concede il giuspatronato di questa arcipretale a favore della Ill.ma Comunità di Massa Lombarda. Infatti, avendo quel Vescovo eccitati i fedeli di Massa a voler costruire in più lunga e larga forma la propria chiesa, dichiara “appartenere ad essi il diritto di presentare il Rettore della medesima qualora ne fosse vacante. A loro con la sua autorità confermava il giuspatronato su di essa e, se fosse necessario, lo conferiva loro di nuovo a condizione che entro dieci anni la nuova chiesa fosse effettivamente terminata e coperta e che essi fossero obbligati a fornirla di calici, apparati e delle altre cose necessarie”.
I bravi massesi si misero all’opera; demolirono la vecchia chiesa troppo angusta (la seconda della loro storia) e innalzarono l’attuale.
Furono di parola: nell’aprile del 1537 la chiesa era ultimata. Don Francesco d’Este, da due anni marchese di questa città, volle contribuire alla costruzione e donò alla chiesa due pregevoli dipinti: la Conversione di San Paolo del Bastianino e La Risurrezione di Cristo del Garofalo.
Il Quadri attribuisce la chiesa a disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (Milano 1465-1530). Sappiamo di questo pittore e architetto che lavorò a Milano e che fu certamente anche a Roma e in Italia Centrale, ma non si sa come concordare bene il suo intervento a Massa Lombarda, dato che la morte lo colse nel 1530, cioè appena due anni dopo l’inizio dei lavori della nuova chiesa.
La consacrazione solenne ebbe luogo il 10 novembre 1577 a ministero del Vescovo di Imola Mons. Vincenzo Ercolani, il quale conferì il titolo di Arciprete all’allora Rettore Don Ippolito Mainardi, per sè e per i suoi successori. Don Mainardi eresse il portico antistante la chiesa nel 1580.
La chiesa di Massa fu da allora Vicariato Foraneo; ebbe alle proprie dipendenze le Rettorie di Conselice, di San Patrizio e, come sussidiaria, la chiesa di S. Urbano al Serraglio.
Nulla si sa di particolari interventi lungo oltre due secoli (XVII e XVIII). Lentamente però la chiesa dovette risentire delle ingiurie del tempo se fu necessario arrivare a un generale restauro. Infatti durante il ministero dell’Arciprete Don Emidio Foschini (1832-1854) si affrontarono i primi grandiosi lavori a spese della Comunità.
La chiesa cambiò internamente l’aspetto originario con la costruzione della volta ed il rafforzamento delle colonne. Diresse i lavori l’Ing. lgnazio Bonoli: dal 1835 al 1842. Furono allora rinvenute presso l’altare maggiore le ossa di Francesco d’Este e collocate in luogo più degno. Fu rialzalo il campanile e la notte del 31 ottobre 1842 furono poste in opera le nuove campane, dopo essere state consacrate nella chiesa del Carmine. In quella notte la città si svegliò all’improvviso festoso doppio.
L’altro grande restauro fu fatto negli anni 1932-34 durante il ministero di Don Domenico Bresadola. Demolito il porticato antistante, la facciata fu messa allo stato attuale su disegno dell’Arch. Gianluigi Poggiali di Imola. Furono abbattuti tutti gli appodiati che ostruivano la bella visione dell’abside. Nello stesso periodo fu liberata la chiesa dal giuspatronato civile per cui gli arcipreti dovevano essere scelti dal Consiglio Comunale e quasi esclusivamente tra sacerdoti massesi.
Venne la guerra 1940-45 e la furia distruttrice si abbatté su tutta Massa Lombarda: il bel San Paolo fu quasi completamente distrutto.
Risorse dalle rovine, a guerra finita, col concorso dello Stato e ad opera della locale Cooperativa Muratori. I lavori si protrassero durante il ministero di Mons. Giovanni Proni che si adoperò per completarla in ogni sua parte con la generosa collaborazione di gran parte della popolazione. Durante il ministero del Can. Antonio Meluzzi furono ultimate le rifiniture e fu acquistato il nuovo organo.
Alcuni ricordano ancora il paziente faticoso lavoro nel modellare i mattoni che compongono le cornici di tutto l’esterno della chiesa.
Fra essi il Sig. Landini Francesco e il Sig. Folli Carlo.

DESCRIZIONE DELLA CHIESA
La facciata della chiesa, come si presenta attualmente, fu ristrutturata dietro disegno dell’Arch. Gianluigi Poggiali, nell’anno 1932-33 dopo la demolizione del portico antistante. è rinforzata verticalmente da lesene che la dividono in tre parti, corrispondenti alle navate interne, di cui la centrale è sopraelevata. Questa, in alto, è decorata da una serie di cinque archetti a peduccio rilevati; sotto si aprono un rosone e la porta ad arco romanico cui fa da cornice un protiro che sostiene una nicchia a tre scomparti. Delle due ali quella di destra è quasi completamente coperta dal campanile, quella di sinistra manca del fregio di archetti e reca essa pure un occhio circolare e una porta minore.
Il fianco destro è diviso in sei parti da lesene, corrispondenti alle cappelle interne. Ognuna di dette parti è decorata in alto da tre archetti a peduccio rilevati sotto i quali si apre un occhio circolare. Il fianco sinistro invece, liberato dagli appodiati che ne impedivano la visione, è a parete liscia e reca, in alto, quattro occhi circolari. Dà su un grazioso cortiletto interno in via di definitiva sistemazione.
Il campanile sorge sul fianco destro della chiesa, su pianta quadrata con lesene angolari. La base romanica risale probabilmente al sec. XI all’epoca della prima chiesa. Infatti nel 1932, in basso del muro contro la chiesa si è trovata traccia di un arco a tutto sesto e, più importante ancora, si è trovato un affresco che rappresenta una testa aureolata di Santo. Tale affresco faceva parte probabilmente della decorazione della prima chiesa della Massa di San Paolo il cui presbiterio doveva trovarsi a lato del campanile, essendo detta chiesa orientata verso ovest. Demolita questa, e mutata la orientazione verso le case dei marmirolesi, la pittura è rimasta nascosta fra il muro della chiesa e quello della torre campanaria, dove ora è la tomba di Francesco d’Este.
Accanto alla attuale chiesa cinquecentesca fu sopraelevato anche l’antico campanile costruendo la cella campanaria, in cui si aprono quattro bifore comprese in un unico arco gotico sormontato da occhio circolare e caratterizzato da una bellissima colonnina tortile a mattoni appuntiti. A questa cella era sovrapposta una guglia che rovinò più volte, fino a quando nel 1829, su disegno dell’Arch. Giuseppe Malpezzi, fu sostituita dall’attuale secondo piano di bifore coperto da un terrazzo contornato da balaustra con un torretto circolare centrale. L’altezza della torre, fino alla croce, è ora di quaranta metri.
Nella cella campanaria sono poste le quattro campane consacrate dal Card. Mastai Ferretti il 20 Ottobre 1841 come risulta da iscrizione latina incisa sulle tre minori (la maggiore infatti, asportata per cause di guerra, fu rifusa nel 1955). Furono fatte a spese dell’Arciprete Emidio Foschini e della Municipalità retta dai Signori: Girolamo Bassoli, Luigi Serra Zanetti, Pietro Nori, Gaetano Bonvicini e Filippo Cavina.
Sui capitelli delle bifore sono incisi i nomi di coloro che eseguirono l’opera di innalzamento del campanile nel 1829, e precisamente:
nel capitello ovest “Giulio Malpezzi di Brisighella, ingegnere, disegnò e diresse”; nel capitello nord “Cosma Mongardi di Imola imprese, Angelo Mazzoni di Bologna I’opera eseguì in agosto 1829”; negli altri due capitelli: scuola d’arti e mestieri Massa Lombarda. La fusione delle campane invece è dei fratelli Angelo e Giuseppe Balestra di Cesena.

L’interno della chiesa è di forma rettangolare diviso in tre navate, senza transetto. Le navate sono divise fra loro da due file di cinque colonne per lato con sei archi a tutto sesto. Purtroppo durante i restauri del 1835-42 fu necessario ingrossarle coprendo con finto granito le esili colonne in cotto che ancora si possono scorgere facendo breccia nell’intonaco. La navata di mezzo ha il soffitto a capriate e riceve luce da sei finestre, tre per lato. Le due navate laterali invece hanno volte reali a vela, quante sono le cappelle. La nave centrale termina col presbiterio e l’abside pentagonale che prende luce da cinque grandi finestre a sesto acuto.

Il presbiterio invece è illuminato da due grandi occhi rotondi nell’alto della volta a vela che sostiene la cupola.
Le navi laterali terminano con due cappelle coperte da cupolette e con abside semicircolare.
La chiesa è lunga m. 44, larga m. 22 e alta m. 20.

Navata laterale destra.
Oltrepassata la porta ed entrati nell’ampio tamburo in legno, vediamo una lapide marmorea che ricorda la seconda consacrazione della chiesa fatta il 10 novembre 1842 a ministero dell’Arcivescovo Cardinale Mastai Ferretti, dopo i grandiosi restauri degli anni 1835-42.

Varcato il tamburo, notiamo la bella pila marmorea per l’acqua santa: porta la data e il nome del donatore: Agustino Baiardi 1669.

Infisso al centro del muro di campata della nave laterale destra, contro l’interno della facciata, c’è un pluteo di marmo bianco diviso in tre parti, di cui le laterali scalpellate e la centrale ornata di un bassorilievo riquadrato di una rosetta cui si accompagnano in croce quattro espansioni contenenti ciascuna una croce bizantina. Si può considerare di epoca dal secolo VII al X. Fu rinvenuto durante i restauri del 1932 e posto qui dove sono i resti mortali del marchese Francesco d’Este, munifico signore di Massa Lombarda, sotto il cui governo fu costruita la chiesa (Ferrara 1/11/1516 – 12/2/1518).

Volle essere sepolto in San Paolo e aveva lasciato una cospicua somma per un monumento funebre. Non si sa come non sia poi stato eseguito il desiderio espresso dal Marchese d’Este. A distanza di quattro secoli abbiamo rimediato indicando almeno il luogo della sepoltura. Dietro questo muro di fondo sono i reperti che testimoniano la primitiva chiesa romanica.
Prima cappella di destra.

È la cappella delle confessioni. Sulla parete di sinistra è ricavata una nicchia per la statua di San Giuseppe: pregevole opera in legno policromo del sec. XVII.

Nella parte centrale è il quadro di San Giovanni Evangelista.
Il santo è avvolto in manto rosso, tiene sollevata la penna e volge lo sguardo in alto da dove discende lo Spirito Santo sotto forma di colomba, tra voli di angeli; in basso a destra i suoi simboli: l’aquila che tiene il calamaio appeso al rostro e il calice con l’aspide.

La tela (m.2,42×1,62) è attribuibile ad Alessandro Tiarini. Questo pittore (Bologna 1577-1668) fu discepolo di Lavinia e Prospero Fontana e di Bartolomeo Cesi. Fu fertilissimo e sue opere si conservano in molte città d’Italia. Due suoi figli, Antonio e Francesco lo seguirono, benché a grande distanza artistica.
Seconda cappella di destra.

È dedicata ai SS. Sebastiano e Rocco, patroni minori di Massa Lombarda, dichiarati tali dalla Municipalità in seguito allo scampato flagello della peste nel 1630: sono infatti invocati come particolari intercessori in caso di epidemie. Ciò spiega perché il loro culto e ovunque diffuso.

Questa tela (m. 3,80×2,40) è un capolavoro del Conte Cav. Carlo Gignani (Bologna 1628 – Forlì 1719). Fu l’artista più popolare della Bologna seicentesca: convinto interprete del correggismo e della norma raffaellesca del Reni. Ebbe una produzione notevolissima e opere sue si ammirano in parecchie città (Roma, Bologna, Forlì, Imola). Diresse nel 1680 il complesso pittorico della chiesa del Carmine a Massa Lombarda, parte in affresco e parte in tela. Di tale complesso purtroppo rimane molto poco: qualche residuo nella chiesa del Carmine e questa tela.
I1 dipinto rappresenta la Massa del seicento su sfondo campestre con orizzonte collinoso, cielo a scaglie di nubi e un frondoso albero a destra.
Al centro le due grandi figure dei Santi: Sebastiano, legato all’albero stesso con le mani incrociate sopra il capo, trafitto da frecce, semiginocchioni, con perizoma attorno ai lombi; Rocco, a sinistra, indossante ampie vesti a piegoni, i calzari da pellegrino, la mano sinistra al petto trattiene l’alto bordone, il viso tra lunghi capelli fluenti sulle spalle.
A lato il fedele compagno del lungo pellegrinare: il cane col pane in bocca. Entrambi i due Santi volgono lo sguardo al cielo da dove discende a volo un angelo nell’atto di porgere a Sebastiano la palma del martirio e a Rocco una corona di rose.
Terza cappella di destra o del Battistero.

Qui sono composti gli elementi del complesso battesimale che furono messi in opera dall’Arciprete Angelo Folli nel 1887: risalgono al sec. XVII.
Sulla parete di centro la grande tavola raffigurante il Cristo risorto (m. 2,80 x 1,50) entro una bella cornice lignea. E una copia eseguita da Pietro Candi di Cento nel secolo scorso e fu commissionata dalla confraternita del Santissimo Sacramento per la propria cappella.

L’originale è di Benvenuto Tisi da Garofalo (Ferrara 1481-1559) ed è custodita alle Opere Pie di Massa Lombarda. Questa, annerita e scrostata, fu fatta restaurare recentemente e qui posta come a suo luogo più adatto per richiamare il concetto battesimale della Risurrezione.
La copia non è meno bella dell’originale: la maestosa figura di Cristo si staglia dal sepolcro, con a lato due angeli in atteggiamento di sentinelle, che tengono in mano i segni della passione quale trofeo di vittoria sulla morte.
Al centro della cappella è la vasca ovale in marmo bianco per l’acqua lustrale. Il coperchio della medesima è in legno laccato in bianco e dorato, con gola alla base da cui si dipartono le nervature che si uniscono al nucleo centrale sormontato da una croce.
Sulla parete sinistra della cappella è un armadio a muro chiuso da una elegante porta in legno laccato bianco e con dorature: è a due battenti con stipite attorno ed è sormontata da due acroteri con cimasa.
La ricca trabeazione si ricollega ai fregi rilevati e dorati dello stipite. I due specchi dei battenti hanno un ornato a umbone e palme di fogliame.
Sopra la porta è stata murata una lapide che ricorda il massese Dom Antonio Gabriele Costa, monaco certosino a Lucca, trucidato durante la guerra di liberazione (9/9/1944) e decorato di medaglia d’oro per avere dato la propria vita per la salvezza di molti.

Quarta cappella di destra.

È dedicata a Santa Rita da Cascia. Al centro della parete di fondo è stato posto un piedistallo di scagliola bianco per sorreggere la statuetta, di valore devozionale. Attorno ad essa una cornice di legno dorato con sfondo di stoffa pregiata e, ai lati, due angeli in legno dorato che sostengono una lampada.

Nella parete destra di questa cappella è il quadro raffigurante S. Alberto Carmelitano, tavola di m. 2,29 x 1,29. Rappresenta l’interno di un sacello di cui si vedono sul fondo membrature architettoniche e, in mezzo, la figura del Santo inginocchiato, a braccia aperte, lo sguardo in estasi davanti all’apparizione della Madonna che gli si mostra col bimbo sopra una nuvola e su sfondo luminoso; accanto al Santo c’è la mensa di un piccolo altare col Crocefisso. In primo piano, ai lati della tavola, oranti a mani giunte, i busti dei due donatori, cioè i coniugi capitano conte Pietro Todeschi di Massa e la moglie Chiara Rossi.

L’opera è attribuita al ferrarese Mazzuoli Giuseppe, detto il Bastarolo (Ferrara 1536-1589). Un inventario conservato presso l’arcipretale (1879) la attribuisce invece a Gerolamo Gamberotto o Gamberati, ferrarese anche lui († 1628).
Nella parete di fronte è raffigurata Santa Lucia Martire, tela ad olio di m. 2,10 x1,37. Prima del recente restauro (1982) si presentava pressoché monocroma, ora invece è apparsa in tutta la sua bellezza: entro una nicchia a tutto sesto appare la graziosa figura della Santa che tiene con la mano sinistra il bacile con gli occhi e con la destra la palma del martirio.

Sulla base degli stipiti della nicchia sono apparsi i nomi, sia del donatore: Petrus Romanus f.f. 1603 che del pittore: Gul.s Tell.s pinxit. (Guglielmo Tellarini). Proviene dalla demolita chiesa del Rosario dove per secoli fu oggetto di grande culto, vivo tuttora.
Quinta cappella di destra o di Santa Maria Maddalena.

Sulla parete in fondo e stata posta una grande pala d’altare, dipinta ad olio su tela e racchiusa da una bellissima cornice in legno dorato (m. 3,70 x 2,50).
Rappresenta Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, vergine della nota nobile famiglia fiorentina (Firenze 2/4/1566 – 25/5/1607). La Santa vi è raffigurata in atto di ricevere la comunione da Cristo stesso che le appare seduto su nubi, le offre l’ostia con la mano destra, mentre con la sinistra tiene il piattino; fra loro una coppia di putti alati sorregge la tovaglia. In primo piano, all’estrema destra, un grande angelo accompagna l’estasi col suono di un violone. In basso, sul gradino dell’altare sono posti un libro, un giglio, un cuore: simboli della scienza sacra, della purezza e dell’amore. In alto, sotto le volte del tempio che appena si intravvede, tra un alone di nubi e tra angeli festanti, appaiono i due patriarchi dell’ordine carmelitano: i profeti Sant’Elia e Sant’Eliseo.
L’opera è di Felice Cignani, figlio e discepolo di Carlo (Bologna 1660-1724). Seguì il padre nella decorazione della chiesa del Carmine. Si ammirano un po’ dovunque sue opere: ha lavorato col padre a Bologna, Imola, Forlì.
Sesta cappella di destra.
La sesta cappella di destra è tutta occupata dall’Organo, costruito dalla Ditta Tamburini di Crema negli anni 1963-64 e completamente revisionato durante i recenti restauri.

Fino agli ultimi eventi bellici l’organo era addossato al muro di fondo della navata centrale, sopra il tamburo della porta e vi si accedeva dal campanile.

Cappella della Madonna.

Nella piccola abside di fondo, entro la nicchia incavata in una bella ancona in legno laccato di color cenere e con fregi dorati, è posta in venerazione l’Immagine della Madonna Immacolata, statua policroma in cartone romano, opera di Giovanni Ballanti Graziani di Faenza (sec. XIX). Questa statua (alta m. 1,78) proviene dalla demolita chiesa dell’Osservanza.



Alle pareti di detta cappella sono appese due pale d’altare dipinte ad olio su tavola.

Quella a destra rappresenta la presentazione della B.V. Maria al tempio (m. 2,60×1,77). Lo sfondo è un edificio sacro aperto sui lati in un tratto di paese. Al centro i Santi Gioacchino e Anna che presentano al Sacerdote la loro bambina inginocchiata. Dietro ad essi due leviti reggono i candelieri e un altro regge il libro; alcune altre figure intervengono alla suggestiva cerimonia. L’opera è attribuita diversamente: un inventario del 1879, conservato presso il nostro Archivio parrocchiale, la dice eseguita nel 1841 dal pittore ferrarese Pietro Candi. Invece il sig. Antonio Corbara che fece le schede di tutte le opere d’arte conservate nelle nostre chiese prima del 1933 e poi di nuovo nel 1958, la dice opera di scuola romagnola con influssi ferrareso-tardomanieristici e la colloca verso la metà del sec. XVI. Siccome sappiamo che il Candi lavorò molto a Massa Lombarda, copiando dagli originali, potrebbe trattarsi della copia di un’opera precedente.
Nella parte di sinistra della medesima cappella è situata una grande pala d’altare raffigurante Cristo risorto che appare agli apostoli nel Cenacolo e invita Tommaso a mettere il dito nei fori delle sue piaghe.

Tale dipinto (m. 3,04 x 1,90-) era nell’abside di questa medesima cappella dedicata appunto all’apostolo San Tommaso: nel buio di un edificio appena rischiarato da una finestra gotica, appare agli Apostoli la sfolgorante figura del Risorto con lo stendardo in mano ed indica a Tommaso la piaga del costato.
Il Quadri nelle sue memorie afferma trattarsi di una copia ottocentesca del Candi, da un quadro di Bartolomeo Gennari, esemplato dal Guercino (sec. XVI). La stessa cosa afferma il già ricordato inventario il quale ci conferma anche che la copia fu eseguita dal Candi per ordine dell’Arciprete Emidio Foschini.
Il Corbara invece lo dice originale di Bartolomeo Gennari e lo qualifica di forme nobilmente guercinesche, con colore intenso e succoso.

Navata laterale sinistra.
Ritorniamo sul sagrato ed entriamo attraverso la porta di ponente, volgiamoci a destra e vediamo l’altra pila per l’acqua santa, anch’essa in marmo rosso. Sul piedistallo l’iscrizione del donatore: Ang.s Chcc.s Prot.s Apost.s et Archip.r 4;s. A.D. 1631 D.D. (Angelo Checcoli,Protonotario apostolico e quarto arciprete, nell’anno del Signore 1631).

Prima cappella di sinistra.

Questa è per le Confessioni. Nella parete di sinistra è ricavata una nicchia per la statua della Madonna detta della Cintura (alta m. 1,15). È in legno policromo, opera di ignoto del sec. XVII È particolarmente espressiva.

Da secoli esisteva in questa chiesa arcipretale una fiorente Compagnia detta della Cintura: ne resta memoria in una casa colonica situata nell’angolo via Bagnarolo-Punta.
Questa cappella è dedicata a S. Antonio da Padova, infatti il quadro appeso alla parete di fondo proviene dalla demolita chiesa dei Frati dedicata appunto a questo Santo. La tela (m. 2,50 x 1,70) rappresenta S. Antonio in atto di ricevere dalle mani della Vergine Santissima il bambino Gesù che gli porge un giglio. A destra, in atteggiamento ieratico, è la figura ritta di San Francesco d’Assisi che stringe al petto il Crocefisso. Sulla sinistra invece, inginocchiato e rivestito degli abiti pontificali, è S. Antonio Abate: un angelo sul retro porta la mitra e il pastorale del Santo, mentre, ai suoi piedi, un putto alato con una mano suona il campanello e con I’altra protegge il fuoco, ambedue simboli riferiti appunto a S. Antonio Abate. Le figure sono all’interno di un tempio accuratamente lastricato in marmo.

Non abbiamo alcuna notizia a riguardo di questo quadro: ridotto molto male, è stato recentemente restaurato. Non gli si può dare una attribuzione probabile, ma lo si può riferire, considerati gli elementi pittorici, al sec. XVII.
Seconda cappella di sinistra.

Dedicata alla Madonna del Rosario. Entro una bella cornice in legno dorato, a gigli, è un grande dipinto ad olio su tela (m. 3,33 x 2,26).Rappresenta in alto la Beata Vergine fra nuvole, sostenuta da un grande angelo mentre altri putti alati le fanno festa intorno e due di essi le sorreggono sul capo la corona di rose. La Vergine è in atto di offrire la corona del rosario a San Domenico inginocchiato alla sua destra, mentre il bambino Gesù, volto dall’altra parte, tiene altre due corone nelle manine. In basso, a destra, e inginocchiato in atteggiamento orante San Pietro da Verona, martire († 1252) colpito alla testa dal falcastro degli assassini.

In fondo, nel mezzo, un grassoccio putto alato presenta a San Domenico il giglio della purezza e a San Pietro la palma del martirio.
Questa è opera di Giacomo Parolini ferrarese e si può ascrivere verso il 1710. Giacomo Parolini, nato a Ferrara nel 1663 ed ivi morto nel1733, ha studiato a Bologna con Carlo Cignani. È stato amico di Dal Sole, Crespi e Canuti. Ha lavorato quasi esclusivamente a Ferrara. Sue opere si possono ammirare sia nel Duomo di Ferrara come in altre chiese della medesima città.
Terza cappella di sinistra.

Dedicata alle Anime Sante del Purgatorio. La pala d’altare dipinta ad olio su tela (m.2,70 x 1,80) è racchiusa in bella cornice di legno dorato. Rappresenta la Vergine Santissima che appare a S. Antonio da Padova e gli porge il Bambino Gesù; a fianco della Vergine è San Giovannino. Sant’Antonio tende le mani verso la Madonna e invoca da Lei la liberazione delle Anime Sante che soffrono fra le fiamme. Una di esse è accompagnata finalmente alla gloria eterna da un grande angelo.

Mancano notizie di questo quadro. L’inventario più volte citato parla di “opera di buon pennello”. Il Corbara lo attribuisce al XVII sec.
Quarta cappella di sinistra.

Dedicata alla Passione del Signore. Al centro è posto in venerazione un Crocefisso in legno (alto m. 1,50) del XVI secolo. Ai lati del Crocefisso, su piedistalli in marmo policromo, sono situati rispettivamente: a destra l’Immagine della B.V. Addolorata: cartapesta (m. 1,70) opera della Scuola del Graziani di Faenza (sec. XVIII). In questa chiesa era fiorente una Compagnia o consorzio di duecento donne sotto il nome dell’Addolorata, i cui residui sono vivi ancor oggi. A sinistra è posta la statua di San Francesco d’Assisi, in atteggiamento di contemplazione. Anch’essa è opera della scuola del Graziani di Faenza e proviene dalla demolita chiesa dell’Osservanza.

Madonna dell’Addolorata, Gesù crocifisso e San Francesco
Quinta cappella di sinistra.

Qui è stato riaperto il passaggio che immette nell’antica canonica ed è chiusa da una porta in legno del XVII sec.

Gesù, Giuseppe, Maria, S. Anna, S. Elisabetta, S. Giovanni e forse S. Elena
In alto, sulla parete è esposto un bellissimo quadro rappresentante la Sacra Famiglia. Entro una bella cornice di legno dorato, ci appare la Vergine Santissima che tiene sulle ginocchia il bimbo Gesù dormiente.
Accanto a Lei una Santa in atteggiamento di tenerezza (forse S. Elena). Dietro di loro S. Giuseppe tiene sollevata una tenda, metre S. Anna e S. Elisabetta fanno cenno a San Giovannino di fare silenzio perchè Gesù dorme.
L’opera (m. 1,90 x 1,15) è attribuibile a Scuola veneta del XVII secolo e precisamente alla scuola di Paolo Caliari detto Veronese. Infatti della bottega del Veronese fanno parte, quali “Heredes Pauli” il fratello Benedetto († 1598) e i figli Paolo († 1596) e Gabriele († 1631).
Sesta cappella di sinistra.

Da notare il busto di Papa Pio IX.

È posto qui in segno di riconoscenza per la predilezione che ebbe per Massa Lombarda quando era Vescovo di Imola: qui infatti consacrò le nuove campane, il nuovo altare maggiore e procedette alla seconda consacrazione della chiesa. Presto ci auguriamo di vederlo insignito della gloria dei Santi.

Di qui si entra in Sacrestia. Gli armadi, opera del massese Francesco Soldati (sec. XVIII) sono stati gravemente danneggiati durante l’ultimo conflitto mondiale e si trovano in miserevole stato.



Un giorno in cui si possa giungere ad un restauro, questa sacrestia diventerà un interessante punto di studio sia per i suddetti mobili e sia per i numerosi quadri che vi sono conservati.
Cappella del Santissimo Sacramento.

È chiusa da un cancello in ferro battuto e ottone, composto da due parti fisse e due cancelli mobili.
Le aste sono tutte tonde escluse le estreme e sono ornate da terminazioni a nodo di ottone. I fregi e la cimasa sono animati da steli convolti e mistilinei. Lo zoccolo è ricco di fiori dorati entro composizioni mandorlate. Risale alla metà del sec. XVIII. Dall’arco sopra il cancello pendono due lampade in metallo dorato che recano la seguente scritta: Foschiny aere proprio Romae fieri curarunt anno domini MDCCLXXXVII (I Foschini fecero fare a Roma nel 1787 a proprie spese).
In fondo, nella piccola abside, una nicchia racchiude un trono ligneo, dorato e finemente lavorato per la Esposizione solenne del Santissimo. La residenza e l’altare della celebrazione, in marmo policromo risultano elementi del vecchio altare distrutto in parte da eventi bellici e in parte dalla umidità.
Sulle pareti della cappella sono appese due piccole tavole dipinte ad olio. S. Giorgio a destra e San Giovanni Battista a sinistra: sono i due Santi Protettori della Compagnia del Santissimo Sacramento.


Gli originali di Luteri Giovanni, detto Dosso Dossi (1489-1541) sono ora alla galleria dell’Accademia di Brera a Milano. Queste sono due copie commissionate al solito Pietro Candi nel secolo scorso: anche qui lavorò molto e bene a riprodurre gli originali.
Nelle fattezze del San Giorgio si vuole ritratto il marchese Francesco d’Este.
CAPPELLA MAGGIORE

Salendo due gradini si accede al Presbiterio: nel centro del quale è rappresentato, in mosaico, lo stemma del Comune di Massa Lombarda, opera di Dante Cocchi.

L’altare maggiore è del secolo scorso, in marmo policromo pregiato con al centro un bel tabernacolo. La mensa è composta di un unico blocco di marmo e fu consacrata nel 1842 dal Card. Mastai Ferretti. Una lapide, posta dietro l’altare, ricorda lo storico avvenimento.
Nell’abside circolare si aprono cinque grandi finestre a sesto acuto. Sono a vetri istoriati a gran fuoco, costruiti dalla Ditta Melini di Firenze negli anni 1975-77. Rappresentano i Santi Patroni di Massa Lombarda e precisamente: nel mezzo San Paolo, patrono principale; a destra San Giuseppe, patrono del quartiere San Paolo; San Giovanni Battista, patrono del quartiere San Giovanni; San Michele, patrono del quartiere Meletolo e San Giacomo, patrono del Quartiere Bolognano.



Tutt’intorno all’abside gira il coro in legno di noce, a un solo ordine di stalli, divisi da lesene piatte con capitelli a voluta e da braccioli curvi. Le spalline sono ornate da formelle con contorno mistilineo.

Sul davanti dell’appoggio gira una pancata continua, con dossale dello stesso tipo di cui sopra. L’opera (alta m. 2,15 e profonda m. 1,40) è del secolo XVIII.
Murate alle pareti sono due porte di legno laccate in bianco e con fregi dorati: immettono rispettivamente nelle cappelle del Santissimo e in quella della Madonna. Pendenti dall’alto, all’ingresso del Presbiterio sono due lampade in rame argentato: fanno parte di un prezioso servizio di candelieri e Croce fatti eseguire nel secolo scorso dalla Compagnia del Santissimo.
Per completare la visita bisogna notare i quattordici quadretti della Via Crucis, opera di autore ignoto del sec. XVII o XVIII. Non hanno un grande pregio pittorico, ma sono caratteristici per la vivacità della policromia e l’espressività delle persone dipinte.
Ed ecco agli ultimi due grandi dipinti appesi alle pareti laterali del Presbiterio: a destra la Conversione di San Paolo: tavola di m. 4 x 2,35 racchiusa in grande cornice liscia in legno dorato. È copia del solito Pietro Candi di Cento, eseguita nel secolo scorso. L’originale di Filippi Sebastiani, detto il Bastianino (Ferrara 1532 – 1602), di dimensioni molto più ridotte, si trova presso le Opere Pie di Massa Lombarda.

Come sia finito lì non si sa; è certo che fu fatto per questa chiesa per volere di Francesco d’Este che vi appare ritratto nelle sembianze stesse di San Paolo. Comunque anche in questo caso la copia non è indegna dell’originale. Il quadro rappresenta il momento in cui il Cristo apparendo a San Paolo sulla via di Damasco, lo folgora a terra sbalzandolo da un poderoso cavallo bianco. Paolo, vestito di armatura romana, resta con le mani levate verso l’improvvisa apparizione, mentre i suoi compagni di viaggio si ammucchiano ai lati, sbalorditi.

Nella parete di sinistra è appeso il quadro della Annunciazione del Signore. È dipinto su tela (m. 4 x 2,60): rappresenta la Vergine Santissima che riceve dall’Angelo Gabriele l’annuncio della Incarnazione del Figlio di Dio. La Madonna, a sinistra, è inginocchiata in atteggiamento di preghiera mentre da destra arriva, a volo, l’Angelo che, riverente, le reca il lieto conturbante annuncio. In alto, fra le nubi, appare, sotto forma di colomba,lo Spirito Santo, e alcuni angioletti contemplano la mirabile scena.
Una grande cornice lignea, dorata e con fogliame agli angoli, rende più vivace la pittura che si presenta a colori smorzati.
L’opera è attribuita al bolognese Gian Francesco Gessi (1588 – 1649). Questo pittore definito “reniano in libertà” lavorò appunto col Reni a Bologna, a Napoli e, da solo, in altre città.
[Tratto da “Un passato che rimane presente” di Don Orfeo Giacomelli]