Letture: Proverbi 9,1-6 / Salmo 33 / Efesini 5,15-20
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Dal Vangelo secondo Giovanni (6,51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore.
VITA ECCLESIALE
Sabato 17 | ||
Domenica 18 | 10.30 | + Berardi Francesco, Maria, Demo e Luigi |
Lunedì 19 | ||
Martedì 20 | ||
Mercoledì 21 | ||
Giovedì 22 | ||
Venerdì 23 | ||
Sabato 24 | 18.30 | + Dovadola Monica, Iano, Silverio e Ruffini Armanda
25° di Matrimonio di: Lupo Ubaldo Di Caterina Maria Grazia |
Domenica 25 |
Orario Confessioni Venerdì ore 10.00 – 11.00 (don Pietro)
Sabato ore 11.00 – 12.00 (don Pietro)
ore 17.15 – 18.15 (don Pietro)
N.B. Concordare con don Pietro eventuali esigenze.
Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00
Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.30
Festivo : ore 10.30, 18.30
Tutti i giorni ore 17.50 S. Rosario (escluso venerdì)
Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario
Anno : B
Agosto 2024 |
LA VITA DELLA COMUNITA’
Domenica 18
XX del T.O. |
Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo) |
Giovedì 22
B. V. Maria Regina |
S. Messa ad orario feriale. |
Venerdì 23 | Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione Eucaristica e S. Rosario |
Sabato 24
S. Bartolomeo Ap. |
S. Messa vespertina della domenica. |
Domenica 25
XXI del T.O. |
Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.30 (S. Paolo) |
1- In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di mola.
Alla scuola di Gesù : | |||||||||||
Lunedì | Martedì | Mercoledì | Giovedì | Venerdì | Sabato | ||||||
Mt 19,16-22 | Mt 19,23-30 | Mt 20,1-16 | Mt 22,1-14 | Mt 22,34-40 | Gv 1,45-51 |
Vivere il mistero – La colletta propria di questa domenica, nella seconda petizione, chiede con una felice intuizione il dono della «certezza di partecipare al festoso banchetto del tuo regno». Sono le parole di Gesù diventate preghiera: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Qui c’è la sintesi migliore sul valore salvifico dell’Eucaristia. Gesù adempie le promesse insite nel libro dei Proverbi. La Sapienza, infatti, dice «Venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino». Assumere il pane e il vino della Sapienza equivale ad abbandonare la stoltezza e vivere seguendo le vie dell’intelligenza. Traducendo il linguaggio veterotestamentario nel linguaggio evangelico, il messaggio è: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Vivere bene l’Eucaristia è garanzia di salvezza e di risurrezione. Inoltre, vivere bene l’Eucaristia equivale a rimanere in Cristo e Cristo nel credente, per sempre (Gv 6,56). Scendendo nei particolari, nelle parole del Maestro ci sono due verità che non si possono sottacere. La carne e il sangue di Gesù sono il cibo e la bevanda simbolici, bensì veri, autentici, reali («La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda»). Si tratta di una verità che illumina di una luce unica le parole dell’ultima cena sinottica «Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue…». Il Vangelo della settimana scorsa terminava con Gv 6,51. Il Vangelo di questa settimana (Gv 6,51-58) riprende il v. 51 perché i vv. 51.58 formano una inclusione perfetta, dove l’autorivelazione di Gesù («Io sono il pane vivo disceso dal cielo»: v.51 // «Questo è il pane disceso dal cielo»: v. 58) dev’essere capita come funzionale al bene globale e definitivo dell’uomo («5e uno mangia di questo pane vivrà in eterno»: v.51 // «Chi mangia questo pane vivrà in eterno»: v.58). Il testo evangelico può essere diviso in tre parti: il primo elemento di inclusione (v.51), il dialogo tra i Giudei e Gesù (vv.52-57) e il secondo elemento di inclusione (v.58). Il primo elemento di inclusione (v.51) – secondo alcuni studiosi – potrebbe contenere il ricordo della formula eucaristica aramaica; formula probabilmente usata dalla comunità giovannea. Più importante è il messaggio di Gv 6,51: le parole di Gesù non riducono la salvezza a un’idea: la salvezza è un dono che viene da Dio in modo concreto perché concreto è l’uomo che è chiamato a riceverla. La salvezza divina coglie l’uomo quando l’uomo vive nel suo corpo ed è attraverso il corpo che la salvezza di Dio permea tutto l’uomo. Attraverso l’azione più umana e primordiale, mangiare-bere, l’uomo accoglie e rende permanente in sé la vita divina, quella eterna. Di fronte alle parole di Gesù subentra la razionalità critica che non lascia spazio alla fede: «Come può costui darci la sua carne da mangiare». La domanda è lecita. La risposta di Gesù non sfuma né affievolisce né attenua la sua affermazione. (don Renato De Zan)
Spazi per la liturgia- Uno spazio felice (prima parte) [continuazione] (di don D. Ravelli)
La penitenza tariffata, poi, poteva ripetersi senza limiti, non più una sola volta, e il peccatore poteva essere riconciliato, non solo alla fine della Quaresima, ma in ogni tempo dell’anno e, soprattutto, perdendo ogni forma di carattere pubblico del suo stato e della penitenza da compiere. Inoltre, ogni sacerdote diventava normalmente il ministro di un sacramento fin lì riservato al vescovo. I concili carolingi del IX secolo provarono ancora a restaurare l’antica disciplina a causa della crescente arbitrarietà e irrilevanza delle pene che, sebbene inizialmente fossero severe, ben presto attaccarono il nuovo «sistema tariffario». Tuttavia questo tentativo fallì e inizio ad affermarsi un principio che rimase valido, praticamente solo idealmente, nei secoli successivi: a peccato pubblico, penitenza pubblica; a peccato privato, penitenza privata. La descrizione del luogo della celebrazione potrebbe essere sintetizzata con un’espressione a effetto, che come tale è senz’altro riduttiva ma certamente esplicativa: il luogo della penitenza tariffata è la chiesa, ma senza la Chiesa. Centrale ed essenziale, esattamente come la prassi pubblica antica, rimane l’edificio dedicato al culto pubblico. Ma ciò che viene a mancare è proprio la dimensione ecclesiale, tanto nella celebrazione quanto nell’itinerario di conversione del penitente: la Chiesa, come madre e sorella, è ridotta al minimo. Nel sacramento, la comunità dei fedeli è praticamente esclusa e assente: resta un fatto privato solo tra il sacerdote e colui che viene a chiedere e ottenere il perdono. II luogo precipuo in cui il ministro, e solo lui, accoglie il peccatore – per ascoltare la confessione, per comminargli la soddisfazione e poi, dopo averla compiuta, in un secondo momento, concludere il percorso penitenziale con la riconciliazione – rimane sì la chiesa ma ridotta semplicemente a un’aula vuota. Se il sacramento mantiene, ancora per poco, la peculiarità di un cammino di conversione, l’edificio cultuale perde invece subito la sua antica dinamicità, dove anche gli spazi utilizzati nella celebrazione erano segno e simbolo di un itinerario penitenziale e di una partecipazione reale di tutta la comunità con i suoi diversi ministeri: tutto è ridotto alla semplice indicazione che il sacramento deve compiersi in chiesa, alla presenza del solo sacerdote. Negli antichi Ordines Romani, sia anteriori sia posteriori al Mille, non viene infatti precisato alcun luogo particolare nella chiesa dove si debba amministrare il sacramento, anzi – secondo qualche studioso – pare che l’accusa dei peccati potesse essere compiuta anche in casa del sacerdote. Da essi, comunque, si deduce che il sacerdote stava seduto sopra un sedile qualsiasi, aperto e mobile, mentre il penitente accusava i propri peccati seduto accanto o di fronte a lui. Quando invece tornava la seconda volta per ricevere l’assoluzione – anche se ben presto questa avverrà subito dopo l’accettazione della penitenza – doveva mettersi in ginocchio davanti al ministro, il quale, probabilmente in piedi, recitava una o una serie di preghiere imponendo una o entrambe le mani sul capo del penitente come gesto di perdono. Nonostante tutto, la disciplina della penitenza tariffata conservò l’antico riferimento all’altare, quindi alla pienezza del cammino di riconciliazione con la celebrazione dell’Eucaristia, alla quale coloro che avevano fatto l’accusa dei propri peccati dovevano astenersi per tutto il tempo penitenziale fino all’assoluzione. [7 continua]