Letture: Isaia 58,7-10 / Salmo 111 / 1Corinzi 2,1-5
Il giusto risplende come luce.
Dal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Parola del Signore
Vivere il Mistero- In queste domeniche del Tempo Ordinario che si collocano prima della Quaresima, la liturgia legge in modo frammentato il discorso della montagna secondo il Vangelo di Matteo. Si tratta del primo discorso pronunciato da Gesù, subito dopo l’invito a convertirsi fatto dal Maestro in tutta la Galilea. Convertirsi, cioè cambiare mentalità, come? Nel discorso della montagna Gesù espone una serie di insegnamenti che illustrano quale sia la mentalità da assumere. Nel brano evangelico di questa domenica egli tratteggia, con due immagini, l’identità dei suoi discepoli, di coloro cioè che hanno deciso di convertirsi: «Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo...» (Mt 5, 1 3. 14). Mentre non c’è alcuna difficoltà per capire la metafora della luce, ci potrebbe essere – per la nostra mentalità – una certa fatica a capire la metafora del sale: ai tempi di Gesù, il sale veniva tratto dal Mar Morto e le placche di salgemma venivano usate direttamente in cucina, sia per insaporire i cibi sia per ravvivare il fuoco (data la ricchezza di cloruri e di fosfati presente nelle placche). Il sale, dunque, non era ben raffinato come il nostro, ma presentava numerose impurità e scorie. Quando, per vari fattori, il sale si scioglieva, rimanevano solo le impurità e le scorie, che venivano puntualmente gettate via insieme ad altre immondizie. [continua in ultima pagina]
VITA ECCLESIALE
Sabato 04 |
18.00 |
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Domenica 05 |
10.30 18.00 |
+ Luciano e Deremo + Amadei Carlo, Brandolini Irene e Fabbri Adamo + Rossella + Primo Marchetti + Rolando, Giuseppe e deff. fam. Savini e Campanella Deff. Gherardi e Cremon + Brignani Adriano |
Lunedì 06 |
18.00 |
+ Preti Giovannino e Costa Marisa in Preti |
Martedì 07 |
8.00 |
+ Moroni Lorenzo |
Mercoledì 08 |
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Giovedì 09 |
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Venerdì 10 |
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Sabato 11 |
18.00 |
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Domenica 12 |
10.30 |
+ Alma, Alfonso, Maria e don Orfeo |
Orario Confessioni Sabato ore 11.00 – 12.00 (don Pietro)
ore 16.45 – 17.45 (don Pietro)
Concordare con don Pietro eventuali esigenze rispettando rigorosamente le disposizioni di legge (distanziamento, mascherine ecc…)).
Orario SS. Messe Feriale: Martedì e Venerdì ore 8.00
Lunedì, Mercoledì, Giovedì e Sabato ore 18.00
Festivo : ore 10.30, 18.00
Tutti i giorni ore 17.25 S. Rosario
Venerdì ore 17.30 Adorazione eucaristica e S. Rosario
N.B. Tutte le celebrazioni sono aperte a tutti i fedeli e si possono seguire anche nel sito internet della parrocchia
Anno : A Febbraio 2023 |
LA VITA DELLA COMUNITA’
Domenica 05 V del T. Ord. |
Festa parrocchiale A.C. per la Pace Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.00 (S. Paolo) Ore 10.30 (S. Paolo) : S. Messa animata da A.C. |
Mercoledì 08 |
Ore 20.30 (S. Paolo): Prove del “Coro S. Paolo”. |
Giovedì 09 |
Ore 20.45 (canonica): Incontro catechisti. |
Venerdì 10 |
Ore 17.30 (S. Paolo) : Adorazione eucaristica e S. Rosario. |
Sabato 11 B. V. Maria di Lourdes |
Giornata mondiale del malato Ore 6.30 (C.E.M.I.) : S. Messa. Ore 17.00 (S. Paolo) : S. Rosario seguito dalla Celebrazione del Sacramento dell’Unzione degli Infermi. |
Domenica 12 VI del T. Ord. |
Ss. Messe alle ore 10.30 e 18.00 (S. Paolo) |
1 – Siamo invitati a rinnovare l’abbonamento per il 2023 al periodico parrocchiale “Il Ns. S. Paolo”, importante strumento di comunicazione comunitaria.
2 – In sacrestia sono sempre disponibili le marmellate delle monache clarisse di Imola, a sostegno della loro comunità che ci ricorda tutti nella preghiera.
Alla scuola di Gesù : |
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Lunedì |
Martedì |
Mercoledì |
Giovedì |
Venerdì |
Sabato |
Mc 6,53-56 |
Mc 7,1-13 |
Mc 7,14-23 |
Mc 7,24-30 |
Mc 7,31-37 |
Mc 8,1-10 |
[dalla prima pagina]
Accanto all’immagine della luce e del sale, lungo il suo apostolato pubblico, il Maestro riprenderà una terza immagine per definire i suoi discepoli: «Voi siete il lievito...» (Mt 13,33). Sale, luce, lievito sono piccole realtà che hanno una capacità straordinaria di interagire con le situazioni circostanti molto più grandi di loro. Un po’ di sale, infatti, rende ricca di sapore una realtà molto più grande. Un lucerniere rischiara il buio di una stanza intera. Un po’ di lievito rende fermentata la massa della pasta. Si tratta, in fondo, di un linguaggio allusivo. La fede del cristiano non è a uso e consumo personale e tanto meno vive a sé stante. Si tratta, invece, di una realtà che, se sinceramente accolta, rettamente intesa, seriamente maturata e vissuta nell’imitazione del Maestro, diventa contagiosa di bene nei confronti di tutto ciò che la circonda. Per questo motivo la petizione della colletta propria chiede di avere in dono «il vero spirito del Vangelo». Il credente, se vive in modo autentico la sua fede operosa, non resta un «isolato», ma diventa – in senso positivo – un «contagioso» di bene nei confronti di coloro che lo circondano. Essere lievito, sale e luce, tuttavia, non dipende dalla fantasia del cristiano, ma dalla sua capacità di camminare dietro a Gesù. Il Maestro, infatti, dice: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). (don R. De Zan)
Spazi per la liturgia- L’Altare [continuazione] (di don D. Ravelli)
Esso è certamente un «oggetto» in funzione della liturgia, e tra gli elementi dell’aula ha il ruolo principale, ma è pure carico di una significatività che va al di là della sua pura funzionalità: al momento della Sinassi eucaristica, l’altare trova la sua massima relazione con la presenza di Cristo, sacerdote e vittima del suo sacrificio, ma anche a chiesa vuota, fuori dalla liturgia comunitaria, si innalza come icona di Cristo e dell’incontro con Lui. Ecco il motivo per cui la tradizione cristiana, anche in riferimento al valore biblico della pietra che lo costituisce, lo ha identificato proprio con Gesù stesso: «l’altare è Cristo», come aveva scritto Cirillo di Gerusalemme (+ 444). La nostra ricerca sull’altare si dividerà nella pubblicazione in tre parti, che rispecchiano altrettanti temi e momenti di riflessione: la storia, il presente e il simbolo. Quella che verrà riportata qui di seguito cercherà di ripercorrere la storia dell’altare cristiano, fino alle porte del Concilio Vaticano II (prima parte); la seconda tappa si occuperà dell’altare voluto dalla riforma liturgica promossa dal Concilio e del nuovo rituale per la sua dedicazione o benedizione (seconda parte); da ultimo, l’attenzione sarà portata su una lettura mistagogica dell’altare come «segno» del mistero di Cristo e come «oggetto» per la celebrazione dell’Eucaristia (terza parte). «Le forme degli altari [e dei tabernacoli] si sono sviluppate dentro gli spazi delle aule liturgiche seguendo di volta in volta non solo i motivi dell’estro, ma anche i dettami di una precisa comprensione del Mistero» (Ecclesia de Eucharistia, 49). Nella lingua latina del mondo antico esistono tre termini per indicare questo luogo centrale nel tempio o nell’area sacra della divinità: ara, altare e mensa. Il primo termine è il più frequente, il secondo è usato raramente, mentre l’ultimo indica il tavolo su cui si deponevano le offerte sacrificali oppure, nel linguaggio quotidiano, si consumava il pasto familiare. Il vocabolo altare, utilizzato poi nel culto cristiano, è composto da un aggettivo, o participio, e da un nome: alta-ara. La prima parte del termine potrebbe derivare sia dall’aggettivo latino altus/a/um, ovvero «alto», sia dal participio del verbo alere, cioè «nutrire»; perciò può indicare una struttura alta o che sta in alto oppure che è destinata alla funzione della nutrizione. La seconda parte, ovvero il primo vocabolo, troverebbe la sua etimologia nel verbo arére: ardere, bruciare, quindi come «luogo del fuoco». La natura fondamentale di ogni altare o ara nel mondo precristiano, quindi, era quella di essere una struttura elevata, normalmente di pietra, sulla quale deporre e bruciare le offerte destinate o sacrificate alla divinità, perché fossero da essa accolte e consumate. La funzione pratica dell’altare non era quella dell’immolazione cruenta delle vittime sacrificali, la cui uccisione veniva compiuta in altro luogo, ma quella di accogliere le offerte e permettere la loro combustione, quale manducazione divina. Talvolta il rito sacrificale comportava la consumazione dell’offerta anche da parte dell’uomo, cioè l’offerente stesso era chiamato a parteciparvi. L’altare cristiano, tuttavia, non si inserisce in questo contesto cultuale, anzi ne prende le distanze. [3-continua]